E’ molto toccante leggere lettere come quella di Celli, pubblicata su Repubblica qualche giorno fa, in cui l’ex direttore Rai invita il figlio ad andare via da un paese ingessato in logiche di precariato, nepotismo, clientelismo. Ed è ancora più toccante vedere queste cose in fase di realizzazione, in diretta. Vediamo cosa succede, per esempio, a un giovane giornalista freelance che cerchi di pubblicare con un grosso quotidiano italiano. Niente nomi, ovviamente: il giovane freelance non sono io, è un mio caro amico con cui sto lavorando spesso, e dare eccessiva pubblicità alla vicenda potrebbe non piacergli.

Antefatto: esce una notizia importante, che potrebbe finire in cronaca nazionale. In Italia ancora non è stata pubblicata, e il mio amico (che chiameremo Domenico LoSciuto) chiama la redazione del Grande Quotidiano (che chiameremo Controvoce) per proporre il pezzo. Gli rispondono che si, si può fare, ma deve parlare con un giornalista che si occupa di solito di quelle cose. Domenico chiama, e si mettono d’accordo per scrivere il pezzo a quattro mani: l’articolo di Domenico sarà una parte di quello, di più ampio respiro, che sta scrivendo il Grande Giornalista di Controvoce.

Ok. LoSciuto parte a scrivere con l’energia che è abituale in questi casi. Il pezzo è bello, il tema è quello che preferisce, e, tanto per cambiare, riesce a trovare un gran bell’attacco (se c’è una cosa che ammiro di Domenico, è la sua capacità di trovare attacchi mozzafiato, e di mantenere le promesse nel resto del pezzo).  Spedisce il pezzo, e qualche ora dopo appare su internet. Uguali informazioni, un pò rimasticato, ma si capisce che il pezzo è quello. L’unica cosa che non va, è la firma: c’è solo quella del Grande Giornalista, di quella di Domenico neanche l’ombra.

Domenico incassa, ma non si dispera: in fondo, di internet non gliene frega niente, è sul cartaceo che vuole che le cose siano in ordine. Chiama il Grande Giornalista, che attribuisce la colpa del refuso ai tecnici del sito, e che promette che l’indomani, su carta, le cose saranno in ordine.

E vediamolo, ‘sto maledetto giornale: due articoli, uno a doppia firma, come promesso, che introduce la storia. L’altro, di approfondimento, in cui l’attacco è uguale, esattamente uguale, a quello di Domenico. Ma la firma, ancora una volta, è solo per il Grande Giornalista. Nessuna traccia di chi quell’attacco l’ha materialmente scritto, e di chi ha passato quelle informazioni. Un contentino per Domenico, come se già solo vedere la propria firma su Controvoce fosse di per sé un regalo. Dimenticandosi che lui per quel pezzo ci ha lavorato, e che si aspetta non solo di essere pagato (cosa che, sempre più spesso, nel giornalismo italiano sembra diventare un optional), ma di avere il proprio lavoro riconosciuto.

E la cosa più brutta è la frustrazione. Adesso non è che Domenico può mettersi a fare casino nella redazione di Controvoce, perché lui comunque ha bisogno di questo contatto, se vuole continuare a lavorare. Trattasi di tipico caso in cui qualcuno che ha una posizione di potere ne approfitta per lavorare di meno, e sfruttare il lavoro altrui senza rendergliene neanche i meriti.

Congratulazioni. Congratulazioni a giornalisti che, scrivendo di certi argomenti, vengono presi per eroi da chi li legge, e che poi si comportano nel più corporativo e mediocre dei modi. E congratulazioni a Controvoce, a cui piace dipingersi come la voce di chi resiste, e che poi è esattamente parte di questo sistema che fa finta di criticare. Benvenuti in Italia.

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