Oggi a pranzo ho visto Gabriele, di Cesura, e Guglielmo. Sono due miei vecchi colleghi del master di reportage, e senza dubbio gli amici con cui mi piace di più parlare di fotografia, all’interno di questo mondo un pò troppo concentrato su sé stesso.
Tra gli ultimi pettegolezzi del mondo fotografico e gli aggiornamenti obbligatori (“io ho in mente questo progetto, tu che fai?”), ci siamo andati a sedere in un parchetto, a ripararci dal sole che in questi giorni sta martellando Milano, e abbiamo parlato del futuro della distribuzione fotografica. E vedo che anche Guglielmo e Gabrio, che sono quelli che su qualsiasi rivista verrebbero definiti “giovani fotografi” (con qualche ragione, anche se questo è un paese in cui si è giovani fino a 50 anni), si pongono il problema di come fare arrivare a più gente possibile le proprie foto, per uscire dal ghetto della “foto d’autore”, dei photo editor che ti pubblicano una foto come se ti stessero facendo l’elemosina, e per arrivare a un’audience veramente di massa.
Il problema sicuramente si pone. I giornali sono sempre meno letti, e si comportano, come dicevo anche in un post recente, come se avessero nostalgia di come funzionava il giornalismo 30 anni fa (chiudendo gli occhi, e facendo finta di non vedere il mondo che cambia intorno). In più, molto spesso si ha l’impressione che le belle foto rimangano confinate nei cassetti o nei musei. Audience “alta”, diciamo. Ma la perdita di lettori, e lo spostamento su internet, non viene compensato, in termini economici, dalle vendite pubblicitarie su supporto elettronico. Si cercano disperatamente nuovi modelli. Che credo (in questo sono d’accordo con Gabriele) vadano necessariamente ricercati nella distribuzione elettronica, nella donazione, nella sponsorizzazione. Si è accennato, per esempio, a Spot Us Italia: un’esperienza in fase di sperimentazione, ma a cui, personalmente, guardo con attenzione.
Il succo di tutto è: bisogna abbandonare la mentalità per cui c’è un collettore, un gatekeeper, che raccoglie le notizie (o le foto) dai produttori e li fa avere ai fruitori. Si va sempre più verso un modello da molti a molti. Le testate cartacee continueranno per un pò ad avere la loro importanza (pubblicare su NyTimes o su Guardian sarà ancora qualcosa di prestigioso); ma le grandi agenzie di distribuzione, se la vedranno ancora più brutta. Per parafrasare David Randall, il giornalismo sta benissimo e continuerà a crescere, sono i giornali che non hanno buona salute.
In tutto questo, c’è chi tenta di salvare capra e cavoli affidandosi ad un altro gatekeeper, disegnato bene: ipad, apple store e simili. Che, dicono, abbia salvato il mondo della musica. Ma non penso che, sul lungo periodo e nel mondo dell’editoria, sarà qualcosa che funzionerà: qualcuno si stancherà di avere un controllore, all’accesso, a cui bisogna cedere parte rilevante di questo profitto; e poi Google ha fatto la sua mossa sul mercato delle news. Che è una mossa fatta da chi la cultura della rete la conosce, e anche troppo bene, e che va proprio nella direzione di bypassare le tradizionali agenzie di distribuzione, per diventare un nuovo canale.