Da un pò di tempo sto pensando di scrivere un post per chiarire un concetto che ho usato tante volte, ma che non ho mai spiegato veramente. Il concetto è quello di evento che accade solo nella macchina fotografica, e NON lo spiegherò qui.

E’ che nella mia gestione di tutto quello che serve per entrare sempre più a fondo nel gorgo di questa professione io sono molto volubile. Un attimo prima mi interesso tutto di concetti, di Fotografia, di artisti, di linguaggio, e un attimo dopo mi interessa solo la tecnica, gli aggeggi, i giochini. E poi, a turno, spunteranno il lato economico, quello di impresa, quello creativo, quello esistenziale…. E poi da capo. Il bello è che tutti questi lati viaggiano in parallelo, senza mettersi d’accordo, così, magari, mi viene in mente che vorrei leggere qualcosa di filosofico sul ritratto fotografico, e nello stesso momento mi sento in colpa perché non sto curando i miei contatti; mi metto a curare i miei contatti, e una vocina mi dice che farei meglio a occuparmi della mia tecnica fotografica; mi metto… avete capito. Molto spesso, finisco per sentirmi come il papero di What the Duck.

Pensieri, insomma, che si possono avere in quei tipici periodi di un paio di settimane in cui tutto sembra rallentare. L’immagine più vicina è la sabbia sul fondo marino che si posa dopo essere stata smossa: si sta per posare, e quando tutti i granelli tornano a posto si dà un’altra bella agitata. E nei periodi in cui la sabbia sta posandosi, non mi piace rimanere inattivo. Faccio un pò di edit, cerco di sviluppare altri contatti per altri lavori, scrivo qualche progetto e, appunto, leggo Concetti Profondi, oppure faccio i compiti per casa, mi esercito con le luci. Per ora sono dentro il Lighting 102 di David Hobby, AKA Strobist. David Hobby è uno che ha suscitato diverse reazioni: alcuni lo hanno innalzato a livello di semidio, per la sua capacità di sfruttare al meglio la luce dei piccoli flash da slitta (davvero: pare che non ci sia niente che non riesca a illuminare, con un paio di SB); altri sono molto critici, perché sostengono che in realtà ci sono cose, fatte da Hobby, che sarebbe meglio fare con i cari vecchi flash a torcia o da studio.

Io ho avuto sempre un approccio indeciso, nei confronti dell’illuminazione creativa. Nel senso che, fin da quando, quasi alla fine dell’università, leggevo Le Luci della Fotografia di Bob Krist, ho sempre ammirato le incredibili potenzialità creative del flash, e della gestione della luce. Limitarsi alla sola luce ambiente, per quanto ricca di possibilità, è come imparare solo una parte dell’alfabeto, e non tutto (e non vale citare come controprova fotografi che hanno sfornato capolavori solo ed esclusivamente in luce ambiente, perché se iniziassimo questo gioco, bisognerebbe allora citare anche un sacco di fotografi che hanno fatto fior di capolavori usando solo il flash. Avedon e Newton, per dire i primi due che mi passano per la testa. Appunto: è un discorso che non ha senso, perché stiamo parlando di linguaggi complessi, sviluppati di volta in volta, e in modo coerente, dai fotografi).

Al tempo stesso, però, mi sono sempre chiesto se l’attenzione ossessiva che certi fotografi sembrano avere per l’illuminazione non sia un modo elaborato per mascherare la mancanza di idee su altri fronti. Così, ho mantenuto il mio scetticismo, ed ho lavorato in luce ambiente per un sacco di tempo.

Fino a che non sono andato a visitare i Laboratori Nazionali di Frascati. Lì mi si è acceso un campanello: sono convinto di avere fatto un buon lavoro, ma che avrebbe potuto essere infinitamente meglio, con i giusti strumenti visivi, con la giusta “cassetta degli attrezzi”. E allora ho iniziato a informarmi: a dire il vero, la rete è anche troppo piena di consigli e risorse, per chi le vuole cercare. Dapprima ho cercato di approfondire il ttl, il campo prediletto di Joe McNally. Ma visto che c’ero, ho messo in manuale il flash, e ho cominciato a studiare Strobist. Cosa che consiglio di fare a tutti, fotografi professionisti e amatori, perché, nonostante capire l’illuminazione non sia proprio una passeggiatina (non si possono usare i “trucchi”, se si vuole davvero gestire la luce), si viene ripagati con un’impennata della qualità, e un aumento del proprio linguaggio. Un modo, se si vuole, di differenziarsi dal marasma di persone che, vestendo l’abito dei puristi, ostentano rifiuto e ignoranza della luce artificiale, e finiscono per fotografare tutti alla stessa maniera.

Tutto questo, fermo restando che ci sono anche altre cose su cui bisogna concentrarsi per riuscire a fare belle foto. E su questo, si torna al punto di partenza: il giusto equilibrio tra l’illuminazione, la tecnica, e lo studio di quisquilie come estetica, composizione, storia della fotografia, e di altre cose meno connesse alla fotografia, ma che comunque sviluppano una sensibilità essenziale quando si fotografa. Cosa ne pensate, due lettori? Riuscite facilmente a tenere in equilibrio tutti le parti del vostro lavoro, o preferite concentrarvi di volta in volta su una? Pensate che ci siano parti che sono separate tra loro, o lo sono solo in apparenza, e in realtà svilupparle vi aiuta poi a procedere in modo corale?

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