Cercando informazioni e fotografie di fotografi che si occupano di scienze, l’altro giorno mi sono imbattuto in una intervista a Dana Lipp, fotografo americano. Il quale ha una storia che mi è già capitato di sentire: un passato da ricercatore scientifico, poi ha iniziato a fotografare per clienti editoriali e corporate, sempre in area scientifica. Mi ha molto colpito un passaggio dell’intervista di Lipp, in cui sostiene di spendere parte del suo tempo educando i suoi clienti sull’importanza di avere immagini realizzate da un fotografo professionista che è stato anche uno scienziato. Questa non è una sorpresa: rientra nelle normali attività di marketing, e gli americani sono molto bravi a farlo. Mi è molto piaciuta una frase:
There’s certainly some education involved; within the business, most photographers and art directors are rather limited in their understanding and comprehension of science, as demonstrated in the use of coloured water, dry ice and gels to enhance their photos and create visual interest. This science-gap is especially unfortunate when the images are intended for scientists, who readily recognize a bogus image. It’s my job to educate them through personal communication, articles and workshops. (…) visiting clients, reviewing my portfolio, and educating them about the advantages of engaging images with scientific depth, created by a photographer who understands science.
Questo mi ha fatto pensare molto alla differenza che passa tra il rappresentare, fotografando, le attività connesse ad un esperimento scientifico, e il rappresentare un concetto o un fatto scientifico. Tra le due cose passa una differenza enorme, che va pienamente compresa e analizzata a fondo, se si vuole fare della comunicazione della scienza efficace.
Così, sono andato a rileggermi alcune cose (tra cui, lo ammetto, anche la mia vecchia tesi di laurea, dedicata alla simulazione di realtà in fotografia), per ricordarmi bene l’uso che dell’immagine si è fatto nella storia della scienza, e come molto spesso il cambiamento di un “fatto” scientifico si è accompagnato a visualizzazione di maggiore o minore efficacia. Detto altrimenti: un fatto scientifico viene sempre rappresentato in più modi, uno dei quali, sottovalutato ma non meno importante, è quello visivo. Dico che non è meno importante perché molto spesso è proprio la rappresentazione visiva a fare comprendere la scienza a un pubblico diverso, ma non meno importante, di quello degli scienziati.
La rappresentazione visiva della scienza, come ho già detto più volte, segue spesso la via della metonimia, dell’aggiustamento della realtà per rappresentarla meglio. Questa può sembrare una contraddizione, ma la verità è che la fotografia ha sempre un certo margine di discrezionalità, anche quando pretende di raccontare in maniera oggettiva quello che succede. Il problema nasce quando si devono rappresentare grandezze, o fatti, che è difficile cogliere. E’ lì che entra in gioco la potenza interpretativa del linguaggio visivo, e ancora di più di quello fotografico. Una interpretazione che, come sostenevo quando ero studente, ha tutti i connotati della simulazione, nel senso di creazione di una realtà, di ordine secondo, di cui noi abbiamo esperienza non solo in modo mentale, ma estetico, attraverso la stimolazione e l’interazione dei sensi. Una simulazione della realtà vera che passa attraverso una interpretazione, una codificazione.
Ragionavo su tutte queste cose, quando sono capitato sul blog di David McCandless, Information is Beautiful. E’ un sito molto interessante, che ha molti temi vicini a quelli di cui ho parlato. McCandless infatti si occupa di visualizzare dati e conoscenza, in forma grafica, e lo fa in modo egregio. Mi è molto piaciuta, per esempio, l’animazione How much CO2. E mi è piaciuta per il procedimento, che McCandless racconta in un post: prendere un concetto scientifico, e tradurlo in concetti più maneggevoli, vicini alla vita di tutti i giorni, per poterli comprendere. Un procedimento che sottende una buona conoscenza dei concetti che si vuole maneggiare. Una via da seguire, senz’altro.
Una fotografia che volesse comunicare in modo efficace la scienza, dunque, dovrebbe porsi il problema di rappresentare non solo ciò che succede durante un esperimento, il suo lato umano o tecnologico (comunque importantissimi), ma il lato scientifico, le ipotesi fatte, le conferme che si cercano, i fatti che emergono, o vengono costruiti. Tale rappresentazione efficace potrebbe aiutare ad una comprensione maggiore della ricerca scientifica da parte di un pubblico al di fuori della comunità scientifica, ma comunque desideroso di una informazione corretta sull’avanzamento delle conoscenze e sulle sue conseguenze sulla società.
p.s.: i miei due lettori si saranno accorti che ultimamente posto meno spesso, e soprattutto che, quando lo faccio, mi dedico meno a cose divertenti come quelle di cui parlo in questo post. Per quanto alcuni potrebbero pensare “per fortuna”. Per ora sono molto impegnato a progettare e preparare tutta una serie di cose, collegate ovviamente a tutto quello di cui parlo di solito qui sul blog. Fotografia, scienza, e, per dirla brutalmente, come sopravvivere (l’aspetto business, scriverebbero su blog più seri). Ho in cantiere tutta una serie di cose di cui, ovviamente, vi terrò informati. Per cominciare, a marzo sarò a zonzo per l’Italia, per fotografare tre importanti laboratori, che hanno un grande impatto sulla ricerca italiana. Sto aspettando le conferme, e poi potrò dirvi quali. Come sempre, stay tuned.
Quando scrivi di questi argomenti si sente che l’argomento “acchiappa” 😉 sono considerazioni interessanti e sono proprio curioso di vedere dove porterà questo tuo pallino per la fotografia scientifica…
Eheh, ma grazie!
E’ un pallino che arriva inaspettato anche per me, a dire il vero…. Il che significa che anch’io mi sto chiedendo dove mi porterà :p Per il momento so che mi piace tantissimo occuparmene, e che voglio affrontare più a fondo il tema….
Antò. E’ bello vedere che fai. Sono contenta.
Un abbraccio da tanto tempo fa.