Due laser ad alta energia, che convergono su un bersaglio. Energia che viene liberata dall’implosione su sé stesso del bersaglio. Sostanzialmente, il confinamento inerziale è questo. Molto semplice a dirsi, ma difficilissimo a farsi. Ed ancora più a fotografarsi, visto che la scelta è tra non avere laser visibile, o farsi scalfire da laser ad alta energia.
Verso i primi di aprile di quest’anno ho potuto visitare il Centro Ricerche ENEA di Frascati, dove si svolgono gli studi italiani sulla fusione nucleare. I ricercatori dell’Enea studiano le tecnologie con cui si potrebbe fondere insieme atomi di idrogeno, al fine di ricavarne energia pulita e virtualmente illimitata. Per un fotografo che si occupa di scienza e di documentare la ricerca italiana, l’ Enea di Frascati è semplicemente imprescindibile.
In un primo momento, dovevo accedere solo a FTU, una sorta di reattore a fusione (anche se, a essere precisi, il termine reattore non è corretto). Poi ho saputo che avrei avuto accesso, primo in venti anni, all’impianto per il confinamento inerziale ABC. Ho portato con me un minimo di attrezzatura di illuminazione, ho seguito tutta la trafila di entrata nella camera bianca dei laser, ed ho immediatamente iniziato a fotografare i bancali su cui il laser segue il suo percorso di amplificazione (clicca QUI per le foto di ABC).
Il laser, dopo essere stato amplificato e portato ad alta energia, converge su un bersaglio da due punti, in un apparato, la camera-bersaglio, pieno di strumenti diagnostici. Ovviamente, mi è stato subito chiaro che era necessaria una foto della camera bersaglio, magari in piena attività, per raccontare bene la ricerca sul confinamento inerziale. L’unico problema era che non si poteva, per ovvie ragioni di sopravvivenza, attivare il laser ad alta energia, pena la formazione di enormi buchi su qualsiasi cosa non fosse stata protetta (ovvero: tutto, tranne la camera bersaglio, che quindi rimane chiusa). L’alternativa era il laser di controllo, quello con cui i ricercatori fanno la manutenzione dell’impianto.
E qui nasce un altro problema: il laser, a meno che non incontri qualcosa, è sostanzialmente invisibile. Normalmente questo problema si può superare spruzzando del fumo, o qualcos’altro, sul percorso del laser. All’INFN di Frascati, ad esempio, ho usato dell’azoto liquido. Ma dentro ABC non si poteva. Come fare, allora?
Uno dei disponibilissimi ricercatori, a questo punto, ha avuto un’idea: mettendo un foglio di carta sul percorso del laser si riesce a vedere un punto. Poco, ma già qualcosa. Ho pensato che muovendo il foglio di carta lungo il percorso, si sarebbe potuto mostrare, in un insieme di punti, tutto il laser. Per fortuna taaaaaanto tempo fa avevo fatto un pò di light – painting. Ho iniziato, quindi, a dare indicazioni a due ricercatori, facendogli passare un foglio di carta avanti e indietro nella camera bersaglio, per catturare la luce del laser in una lunga esposizione. L’effetto era di un’onda, più che di un fascio laser, ma l’effetto mi piaceva, quindi ho deciso che andava bene. L’unico problema era la camera bersaglio: illuminato con il light-painting, il laser era troppo debole per illuminare il resto della scena, quindi rimaneva tutto troppo buio. Ho provato a fare qualche esposizione in luce ambiente, ma i neon del laboratorio (i neon di tutti i laboratori, per la precisione) erano orribili.
La soluzione è stata usare il flash come altra fonte di luce nel light-painting. Settato il white balance su tungsteno, per avere una dominante blu, ho iniziato una serie di esposizioni. Con il flash in mano aprivo l’otturatore e sparavo subito dei lampi che illuminavano la camera bersaglio; poi davo il via ai ricercatori con la carta, per illuminare il laser; e poi ripassavo con altri lampi flash e chiudevo l’otturatore. La cosa ha richiesto un pò di prove, per settare bene il giusto equilibrio luce flash/luce laser, ma nell’insieme ho ottenuto qualcosa che mi piaceva, e che racconta bene il confinamento inerziale.
Non ho usato esposimetri per calcolare l’esposizione, né del flash né della luce laser. Mi sono affidato a un pò di esperienza per valutare potenza del flash e diaframma da utilizzare, e agli istogrammi del monitor lcd per capire quanta luce stava colpendo effettivamente il sensore.
Il ringraziamento, come sempre, va al Dr. DeAngelis ed a tutto l’ufficio stampa Enea, per avermi dato l’opportunità di realizzare quella visita, e per tutto l’aiuto che mi hanno offerto durante la mia giornata al Centro Ricerche Enea di Frascati.