Una piccola scogliera, che d’estate è praticamente sommersa dalla sabbia, in inverno è quasi divorata dall’acqua del Canale di Sicilia.
Ho scattato questa foto durante il mio giro per Bordo Sud, un progetto che non ho ancora abbandonato, e che ho pianificato di riprendere presto. Il progetto ha a che fare con il paesaggio, ma solo come spunto per indagare il contatto tra paesaggio e uomini, espresso dalla linea di costa a sud della Sicilia. Un progetto, in altre parole, che non richiede necessariamente un bel paesaggio, ma con cui mi piace sperimentare. Ogni tanto, però, sento il desiderio di andarmene, in un certo senso, in vacanza dal progetto stesso, e di cominciare (di nuovo) a vagare, con la mente e con i piedi. L’essenza del progetto, infatti, è questo muoversi, questo andare su e giù per la costa alla ricerca di spunti e collegamenti solo apparentemente lontani, ma che diventano palesi all’occhio.
Parentesi. Non è la prima volta che mi capita di scrivere questa cosa dei collegamenti visivi, del senso che nasce solo dentro una foto, e tra fotografie. E’ da più di un anno che sto masticando fotografie di Alec Soth, che apprezzo tantissimo proprio per questa sua capacità di creare intere grammatiche solo basandosi sull’assonanza visiva, e che aveva fatto un progetto, intitolato From here to there, in cui questo collegamento tra una foto e l’altra era portato alle estreme conseguenze. Vedi il post sul blog archiviato di Soth. Ma queste sono cose che possono essere sperimentate anche in video: mi è capitato, ultimamente, di guardare Diary, del compianto Tim Hetherington, che esplora le contraddizioni tra mondo in guerra e mondo in pace in un modo molto simile all’assonanza visiva estrema di cui parlavo. Mi piace tantissimo questo modo di narrare con le immagini, molto puntato sulle immagini stesse, che non le usa come pretesti ma che le esibisce. Da approfondire. Fine parentesi.
Bordo Sud, come dicevo, è un tentativo di procedere in questa direzione. Ma mi capita spesso di decidere di lasciare perdere i collegamenti e, semplicemente, scattare quello che ho davanti, fino allo sfinimento. Sono giorni in cui, senza deciderlo, posso passare due ore nello stesso posto, a seguire il cambiamento di atmosfera e a documentarlo con la macchina fotografica sul cavalletto. In quei momenti, anche la presenza di un gatto mi infastidisce: sento la necessità di essere solo, a seguire una strana partita tra il mio sguardo e il paesaggio, ed a cercare di cogliere la totalità di quello che mi sta di fronte. E, di solito, vale la pena. Porto sempre a casa qualcosa: una buona foto, un’esperienza, o semplicemente la calma che deriva dall’essere stato da solo e nella natura per un pò di tempo.
Ci sono, poi, gli aspetti più prosaici: uscire solo quando c’è maltempo, che aggiunge molto più dramma e profondità alle foto. Portare il treppiedi e costringersi a usarlo. Guidare e ascoltare la radio. Il tutto ti fa entrare in una atmosfera mentale che cerca, senza sapere bene cosa.