Ho scritto diverse volte, su questo blog, del mio viaggetto di maggio/giugno sulla Sarmiento de Gamboa. Ma mi sono reso conto di non avere mai spiegato bene il significato della foto che apre tutto il lavoro.
La missione, in sé, era semplice: andare nel Golfo di Cadice, recuperare una stazione sismica di allarme precoce per tsunami posata sul fondo del mare, e fare rotta su Barcellona, via Gibilterra. Semplice, pulito. Il problema, come sempre, si nasconde nei dettagli: Geostar, come si chiamava la stazione, era stata posata a più di tremila metri sul fondo del mare, e pesava intorno alla tonnellata. Sicuramente non si potevano usare pinne e maschera per riportarla sul gommone. Molto meglio usare una nave oceanografica (anzi: una bellissima nave oceanografica), un equipaggio di professionisti, e un Modus.
Modus è una grande campana, con un attacco nella sua sezione interna, disegnata appositamente per agganciare stazioni come Geostar e rimanerci attaccata. Tutto l’apparato, poi, viene tirato su con un grosso cavo metallico, che ha la funzione di tenerlo attaccato alla nave, e di renderlo manovrabile da una consolle in remoto. Per agganciarsi alla “sua” stazione, infatti, Modus viene pilotato dalla nave, ed è per questo che è dotato di telecamere e thrusters, che consentono la sua manovrabilità. Una di queste telecamere, piazzata all’interno, a un certo punto ha mostrato Geostar, mentre Modus si avvicinava ad essa, ed io l’ho fotografata. Ma, prima e dopo, ho potuto avere un breve, bellissimo scorcio del paesaggio a tremila metri di profondità. Un paesaggio lunare, in cui il colore svanisce e, se non fosse per le luci di Modus, non si vedrebbe nulla. Ma che mi ha affascinato: l’abisso nero, quello che ancora oggi è praticamente sconosciuto.
L’ operazione di discesa e recupero, in apparenza semplice, è in realtà una specie di incubo logistico. La nave deve stare ferma, il più possibile, per non portarsi a zonzo per il mare cavo e Modus; il verricello che aziona il cavo deve essere manovrato al centimetro, dato che, se è troppo corto, non arriva alla stazione, e se è troppo lungo fa finire Modus posato sul fondo. E lo stesso Modus, ovviamente, deve essere pilotato da mani esperte. Una operazione così, in altre parole, richiede la coordinazione perfetta di un team di almeno dieci persone, che devono tenere la nave in posizionamento dinamico e con prua al vento, per ridurre al minimo il rollio, devono calare il cavo con Modus, farlo scendere in modo ordinato, tenerlo stabile quando arriva a destinazione, agganciare la stazione, farla risalire in modo ordinato e farla arrivare sana e salva sul ponte. Roba molto, molto difficile.
Il recupero di Geostar è riuscito al primo tentativo, ritardato un pò solo da un paio di metri d’onda. Dopo aver visto riuscire il tutto al primo tentativo, e aver visto la calma e la compostezza con cui tutta l’operazione era stata condotta, ho capito che livello di competenza e professionalità ci volevano per condurre un’operazione così.
Anche se. Guardando bene, potrete vedere che il pilota di Modus ha, per guidare il Salvatore di Geostar, un bellissimo gamepad da playstation 1. Videogame d’alto mare. Mi pare fosse Crichton che diceva che in realtà ingegneri e scienziato sono semplicemente dei bimbi cresciutelli, che realizzano giocattoli più grandi. E, guardando il serio pilota di Modus lavorare come se stesse videogiocando, ho pensato fosse vero.
Haha, divertente l’ultimo dettaglio 😉