(Durante le festività ci sono sempre in giro mucchi di radicalintellettualpoveracc’ che hanno le loro teorie su cosa sia giusto o sbagliato pensare in occasione di qualche data sul calendario. Un pò bisogna indignarsi contro il conformismo e il consumismo, ma secondo altri non bisogna farsi sfuggire l’occasione di una stoccatella ironica che conclude sempre “divertitevi tutti e un pò d’ironia, su”. L’ironia, questo lasciapassare generazionale a qualsiasi stronzata. Io ho deciso per una corrente alternata: quest’anno scriverò solo pezzi a favore delle feste, il prossimo sarò contro e scontroso e anticonformista. Se non vi piace il pezzo di oggi, fottetevi. Ah, no, quello era per l’anno prossimo.)

Una volta ero in Canada. Me ne sono accorto perché mettevano dovunque lo sciroppo d’acero, insieme a quell’insopportabile buon senso ed educazione, anche quando cercavi di litigare. E poi era tutto un parlare del tempo, e quanto è brutto il tempo, e quanto è freddo il tempo. A volte univano le cose:

– Buongiorno signorina, quant’è un caffé allo sciroppo d’acero?

– Si aspetta una nevicata e quindici sotto lo zero, dude.

– Fottiti, brutta troia con la figa a mazza da hockey.

– Oh, mi scusi se l’ho provocata, signore.

Esasperante. Un giorno mi sono stancato di trovare Tim Horton’s e scoiattoli ad ogni angolo della strada e sono andato negli Stati Uniti. Lì la situazione è immediatamente migliorata, invece dei Tim Horton’s c’erano i negozi di armi, gli scoiattoli erano tutti stati fatti fuori, e lo sciroppo d’acero era uguale, ma la scritta in grande sull’etichetta era MADE IN PENNSYLVANIA. Patriottismo anche sui gliceridi. Gli Stati Uniti, e un pò meno anche il Canada, sono davvero fissati con la patria e la tradizione. I loro libri di storia iniziano tutti con un italiano che scopre la loro terra, e quindi devono in qualche modo scimmiottare gli atteggiamenti di chi avevano qualcosa da dire anche prima. Che poi, basterebbe scrivere dei libri che parlano anche di prima che arrivasse Colombo.

C’è poco da fare ironia, però. Anche noi italiani siamo talmente ossessionati dalle tradizioni da non nominarle neanche più chiaramente. Noi le viviamo, le inseriamo nella vita di tutti i giorni, ce ne facciamo soggiogare e, come dessert, ci impediamo di chiamarle per nome, in modo da dire che un certo comportamento o un certo modo di pensare è naturale ed è sempre stato così. È un modo di agire talmente radicato che guardiamo con sospetto chi invece lo indica e lo smaschera, pensando che sia il classico pedante che prende sul serio tutto quello che gli sta intorno. Non ci piace chi ci mette di fronte ad altri modi di comportarsi, e non ci piace chi ci ricorda che anche il nostro modo di agire può essere costruito e artefatto.

In questi giorni è tutto un turbinare di italica spocchia, credo che i miei connazionali abbiano una qualche nostalgia del vento autunnale e allora cerchino di gonfiarsi più che possono, in attesa di una soffiata galattica. Domani sarà Halloween, e orrore! Una festa importata da altrove, che non c’entra nulla con le nostre tradizioni, un rito con-su-mi-sti-co, imparato dai film, e stupidotti quelli che provano a importarlo in Italia.

Ci vedo diversi problemi in questo atteggiamento. Se è il lato consumistico che disturba, mi sa che dobbiamo smettere di festeggiare qualsiasi altro giorno segnato in rosso sul calendario. E in effetti, molti secchioni ci stanno provando anche con il Natale. E a meno che non andiamo tutti in giro con il nostro albero genealogico a dimostrare la nostra purezza, tutte, tutte le tradizioni, a un certo punto, sono state costruite e innestate su una cultura. Non c’è motivo biologico per cui io appartengo a una tradizione, ma solo sociale: dove sono nato, a quale clan appartengo.

Si, è più complesso di così, i sociologi potrebbero dirne a bizeffe. Proprio questo dimostra che parlarne ancora è del tutto ridicolo. Il punto è che le tradizioni sono sempre costruite e sempre costrittive, a prescindere dalla loro stupida nazionalità. La tradizione, scava scava, riguarda sempre un gruppo di persone morte da tempo che hanno fatto delle cose, e ora noi dovremmo dimenticarci di quello che possiamo fare per rifare le cose di quei morti. Riesco a vedere solo una cosa più idiota di una tradizione, ed è mettersi a piluccare sulla nazionalità dei morti che l’hanno inventata. I nostri morti meglio dei loro, le nostre idiozie meglio di quelle estere.

Diceva il buon Doug Stanhope che più un popolo parla di quello che ha fatto in passato più è probabile che non abbia fatto un cazzo da allora. Noi italiani siamo dei campioni se ci mettiamo a sprecare un sacco di risorse intellettuali per stabilire se è meglio una tradizione nata un centinaio di anni fa, cinquecento o un milione. È roba morta. Nella maggior parte dei casi chi festeggia Halloween, o Natale, o Pasqua, lo fa per i più sinceri motivi di festa, ubriacatura, concerti e sesso scadente (il sesso durante le feste non è quasi mai di qualità, tranne rari casi) (come la notte di Natale) (dentro la Chiesa). Chi vuole continuare la tradizione dovrebbe continuare a farlo, ma dovrebbe essere consapevole che adora dei morti, esattamente come tutti gli altri, e quindi ha poco da fare lo spocchioso. La cosa migliore sarebbe stappare una tequila e inaugurare il mio nuovo vestito da Rocco in nudo integrale, e al primo che commenta malamente spruzzarlo di robaccia bianca maleodorante e dire “scusa tanto, ho mangiato cattivo”. E poi offrire un altro giro. A quel punto, solo a quel punto, mostrarmi interessato ala tradizione, quale che sia. Happy Halloween.

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