Quindi non è vero che il nostro immaginario è diventato una colonia di buoni pensieri e buoni sentimenti. Non è ancora successo che i guardiani del pensiero purificato e le polizie dell’educazione a tutti i costi siano riusciti a imporre una cultura fatta di rinunce. La moderazione obbligata sembra essere diventata la sola ragione di vita di una larga parte del nostro paese, ma il nostro immaginario resiste, si sporca ancora, accetta la triade che riduce gli uomini in cenere e la allarga gioiosamente anche ad altri generi, sessuali e di consumo. Se la salute di una società si misura dalla libertà accordata ai vizi che circolano al suo interno, gli italiani stanno benissimo.

Almeno, questa è l’idea che ci si fa guardando al successo di due colonne portanti della cultura pop nell’ultima fase del 2013. Alla loro uscita, l’ultima serie di Breakin’ Bad e Grand Theft Auto V hanno polverizzato ogni record di ascolti e di vendite anche nella nostra enorme provincia stivaloide, risvegliando anche l’interesse dei pedanti media mainstream. Una serie in cui i personaggi principali sono spacciatori di metanfetamine, gangster autodidatti e difensori di un neoliberismo estremo applicato al mercato delle droghe, e un videogame in cui lo scopo è comportarsi sempre peggio e in modo sempre più violento.  Suona divertente, e va di pari passo con il gradimento di tutta una parte di pubblico per libri film e fumetti in cui si presentano personaggi ai bordi, eccessivi, strafatti di droghe e alcool e coinvolti in vicende criminali. I cattivi funzionano.

Quando poi si esce dal mondo della finzione per passare a quello della realtà, è innegabile il fascino suscitato da certe figure che se ne fregano delle regole di un buon dibattito e vanno avanti in modo assertivo e cinico, spesso circondate da un’aura bohemien e da un consistente fumo di sigaretta e da litri di alcolici. Il (mai abbastanza) compianto Hitch era un maestro in questo, e soprattutto nel mondo anglosassone si vedono un sacco di figure simili, alla Warren Ellis, che non fanno mistero dei propri pensieri al di sopra delle righe spesso pronunciati con vocione roche per il fumo e il bere. Personaggi molto più piacevoli e veri di certi opinionisti pettinati e con la camicia azzura in ordine, il cui unico merito è avere sempre frenato le proprie emozioni e avere imparato a tenere a bada i propri pensieri per venire incontro al gusto medio.

Adesso il gusto medio sembra gradire di più i personaggi sporchi. Viene quasi da cantare vittoria. C speranza di uscire dalla cappa di squallore che ci opprime, e di uscirci non solo grazie alla – sempre più mitica e lontana – ripresa economica, ma anche grazie alla riscoperta del nostro lato peggiore, quello che ci rende persone e non semplici avatar al servizio della macchina sociale, la Grande Bestia 666. Una riscoperta che è bene avvenga non nella realtà, ovviamente, ma nel bel mondo della finzione, dove possono avvenire tutte le catarsi e i riscatti di questo mondo.

Siamo cresciuti? Purtroppo credo che sia vero il contrario. In questa fascinazione per i cattivi deve essere in azione lo stesso meccanismo che in altri contesti si attiva per i supereroi, che ci attirano proprio perché hanno dei superpoteri con cui vincere frustrazioni e battaglie anche nostre. Se n’è parlato a lungo, e non c’è bisogno di ripetersi: Clark Kent passa da sfigato giornalista a gran femminaro forzuto, Spiderman serve – dovrebbe servire – da rivalsa per un normale adolescente, e così via. Quello che ci piace di questi personaggi è che hanno qualcosa che a noi manca, e che vorremmo avere.

Il motivo per cui piacciono i cattivi allora è che siamo una società fin troppo conformista, addomesticata a guardare con sospetto qualsiasi cosa abbia un aspetto minimamente divertente. Riempiamo di grandi concetti e di grandi parole battaglie anche giuste, ma che spesso hanno l’unico effetto di farci diventare mediocri, prevedibili, del tutto normali e infinitamente noiosi. Non fumiamo perché abbiamo paura delle conseguenze (giusto), ma vorremmo un sacco farci un tiro. Imponiamo di abbassare i volumi ai concerti, anche se può capitare per due volte all’anno che siano troppo alti e di disturbo. Mettiamo regole su qualsiasi cosa raccontandoci che è per il nostro bene, e allora com’è che, dopo aver accettato il nostro bene, non stiamo meglio?

George Orwell, nella sua attività saggistica, aveva capito con lucidità che a temere maggiormente la povertà non è il proletariato, ma la classe media, disposta a qualsiasi cosa pur di evitare una discesa sociale. Grazie alla crisi globale e al dominio del neoliberismo dalla fine degli anni ottanta la classe media occidentale si è chiusa dentro tante piccole bolle in cui in teoria dovrebbe riuscire a salvaguardare il proprio benessere e il suo stile di vita, definizione che già in sé è il vero precetto autoritario del nostro secolo. In cambio, si è adeguata a una cultura e ad una struttura produttiva pienamente capitalistica, e ne ha digerito per bene i valori.

Più che una classe media esiste una classe mediocre, che all’avanzata della paura di perdere status si attacca a vecchi valori borghesi. Peggiorando il tutto con la pretesa di rimanere liberali, e dunque al di sopra di qualsiasi critica di conformismo. A questa contraddizione si rimedia proprio con una pretesa di maggiore libertà nelle comunicazioni e nei consumi culturali. In altre parole, la nostra passione per i cattivi significa che come cultura stiamo cercando di vivere i loro vizi per interposto personaggio. La proliferazione di cattivi di successo è un segno della nostra ridotta libertà di pensiero.

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