Verso metà dicembre è saltato fuori uno scandalo, tanto per cambiare. Immagini riprese con lo smartphone, ormai un marchio di fabbrica dei telegiornali per suggerire notizie vere e non filtrate, hanno mostrato agli italiani quello che sapevano già da un sacco di tempo ma non potevano più fare finta di ignorare. I migranti nei CIE vengono trattati di merda, puliti con gli idranti ad alta pressione come se fossero scarafaggi. C’è stata la solita sequenza di articoli, manifestazioni isteriche sui social network e inchieste dei giornali preparate in pochissimo tempo. Un enorme dito indice si è alzato dallo stivaletto italico a scaricare indignazione e riprovazione morale verso chi si è comportato in modo sbagliato, non ha trattato come si deve i migranti e, soprattutto, si è fatto sgamare.

In queste situazioni ho sempre qualche dubbio sfuso. Innanzitutto su chi abbia interesse a rendere pubbliche queste cose. Non basta più che un’immagine abbia la qualità di merda degli smartphone per farla diventare una testimonianza genuina da parte del popolo. Come con le intercettazioni, ho iniziato a chiedermi chi dentro i giornali ha interesse a farle venire alla luce, e in base a quale agenda. I giornali hanno sempre, sempre, un’agenda.

Il che mi porta al secondo dubbio. Appena in questo nostro paese maleodorante succede qualcosa saltano subito fuori i giornali a fare fior di inchieste, e un intero popolo è subito pronto a indignarsi per le violazioni dei diritti umani nei propri patri confini. Mai una volta che le inchieste arrivino prima. Per fare qualche esempio, si arriva sempre dopo a scoprire che le ferrovie funzionano male e potrebbe scapparci il morto un viaggio si e l’altro anche, che alcuni settori della sanità siano un far west di clientele giocato sulla pelle dei pazienti, che in certi territori si rischi l’allagamento e il crollo delle case per ogni pioggerella. L’Italia è una repubblica fondata sui fatti già avvenuti.

Ci sono, a dire il vero, giornalisti e testate che fanno fior di inchieste e che anticipano, a volte di anni, i guai e i problemi a cui andiamo incontro giorno dopo giorno con occhi fasciati e allegra incoscienza. Eppure quelle inchieste non ottengono quasi mai le stesse reazioni. A volte ho provato a mettermi nei panni di Milena Gabanelli e alla frustrazione che deve provare quando svela delle cose incredibili e ne ottiene in risposta solo delle alzate di spalle. La differenza, allora, deve stare nel sentimento provato dal pubblico, nella mitica indignazione sempre a posteriori e a cose fatte. Siamo troppo abituati a indignarci per cose già successe, e poco ad alzare la voce per cose che potrebbero ancora succedere.

Verrebbe da dire che siamo un popolo pigro: magari. Significherebbe che con un pò di esercizio potremmo rimetterci in moto. Invece siamo il popolo dello status quo. La nostra indignazione e il nostro senso vivissimo della vergogna servono a manifestare, a modo nostro, compassione, e la compassione è complicità con chi fa del male. Reagiamo alle cose che non vanno con delle piazzate napoletane, ma non ci interessa cambiare davvero. Vogliamo solo manifestare il più possibile empatia con i danneggiati, fare sapere al mondo che ci sentiamo offesi.

La compassione è il modo più ipocrita di nascondere i problemi. Puntando tutto sul coinvolgimento emotivo di chi la prova solleva dalla responsabilità di cercare soluzioni di altro tipo. Spesso, la compassione è la strategia migliore per lasciare le cose come sono. Facendo leva sul sentimento, censura e accusa di aridità chi prova a portare il discorso sul piano dell’azione.

A un livello più profondo, la compassione è reazionaria. Sostituendo un’empatia urlata alla soluzione dei problemi, induce chi è svantaggiato a cercare comprensione. Chi è impegnato a comunicare il proprio disagio, e ad aspettarsi parole di conforto, difficilmente pensa a come migliorare la propria situazione. La compassione e la ricerca di sensibilità ci insegnano a essere schiavi. Non a caso sono tratti centrali del carattere italiano, una nazione in cui la Chiesa ha forgiato le coscienze con massicce dosi di sensi di colpa per quello che si pensa e prova, mai per quello che si fa. Il risultato è una nazione in cui ogni discussione si tinge quasi obbligatoriamente di tinte emotive e isteriche. Uno degli ultimi casi è proprio quello dei migranti di Lampedusa. Isteria, lacrime, indignazione, dopo qualche giorno ci siamo già dimenticati tutto, probabilmente i responsabili saranno reintegrati in compiti migliori quando le acque si saranno calmate. Niente e nessuno mette davvero in discussione l’ordine che permette scempi simili. Niente e nessuno voterà nulla di diverso dai partiti che permettono scene da Reich come quella. Basta far cigolare le ovaie.

Alla compassione dovremmo preferire la dignità, sempre. Forse ci guadagneremo meno punti simpatia con i poveri. Ma pazienza, questo non è X Factor, non dobbiamo raccattare ascolti con un prodotto medio. Preferirei di gran lunga un popolo meno lacrimoso e indignato, ma più disposto a trattare i migranti da esseri umani.

 

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