I principali siti web di informazioni per nerd in questi giorni hanno tutti lo stesso titolo: prepariamoci, perché quest’anno vedremo un altro mucchio di innovazioni tecnologiche. Eccitanti. Sconvolgenti. Ci cambieranno la vita, ci avventureremo ancora di più nel futuro, e indietro non si potrà tornare. Niente ferma l’avanzata delle tecnologie.
Gli anni iniziano con questa grancassa già da un pò, ma quest’anno in particolare promette di essere pieno di conferenze, presentazioni e TED talk con il loro carico di idee e prodotti rivoluzionari. Ci saranno i Google Glass e ci toglieremo il disturbo di tirare fuori di tasca i nostri display. I droni inizieranno a diversificare le proprie attività e consegneranno pacchi, oltre a sbagliare bersagli e massacrare intere famiglie in posti di cui la maggior parte degli occidentali non ha mai si sentito parlare. Questo potrà porre le basi per un piacevole effetto collaterale: continueremo ad opporci a basi e installazioni ingombranti e politicamente segnate – non sto parlando del MUOS ovviamente, ve lo siete immaginati – ma non batteremo ciglio quando le compagnie private inizieranno a installare sui tetti delle città ricevitori e trasmittenti per guidare la propria flotta di droni. Se state alzando le sopracciglia, rilassatevi: con i telefonini abbiamo fatto la stessa cosa, e continuiamo a farla ogni volta che mandiamo un tweet dallo smartphone.
Il 2014 dovrebbe essere interessante anche per la ricerca biologica. Primi virus buoni. Prime cure su misura. Primi organismi meticci, metà computer metà cellule. E prime lotte per la liberazione degli organismi meticci di proprietà delle multinazionali.
Il segno comune sarà un ulteriore avanzamento della tecnologia e un ulteriore arretramento della nostra cultura, in una forbice che ha iniziato ad aprirsi da almeno vent’anni e che si allarga sempre più vistosamente con il passare del tempo. Diversi analisti hanno iniziato a parlarne: mentre la tecnologia va avanti, la nostra cultura rimane ancorata a modelli di pensiero e paradigmi che quando va bene sono rimasti alla prima metà del secolo scorso. Vediamo il mondo e il progresso attraverso uno specchietto retrovisore, accorgendoci dell’evoluzione solo nel momento in cui è appena passata. Fatichiamo a tenere il passo, e in molti casi preferiamo andare indietro.
Chi è più sveglio approfitta di questo divario tra quello che ci permette la tecnologia e il nostro modo di pensarla per rafforzare lo status quo. Gli esempi sono innumerevoli, e tutti dell’anno recente. Gli organismi statali e le corporation usano le tecnologie più avanzate, le stesse che noi ci portiamo in tasca o nel salotto di casa, per controllare meglio la popolazione e averne maggiore influenza, fare la guerra in modo meno vistoso e meno compromettente in patria, rafforzare dappertutto il sistema capitalistico e finanziario privatizzando anche cose che una volta erano impensabili.
Questo scivolamento silenzioso verso il totalitarismo spesso viene sottovalutato o imputato a cause politiche o sociali. Il pensiero mainstream sulla tecnologia è entusiasta: la tecnologia aiuta la democrazia e migliora il mondo. Strano che chi ammette questa non-neutralità della tecnologia in senso positivo esca del tutto fuori di senno quando si cerca di introdurre una non neutralità in senso opposto. Eppure è quello che succede, e si è sempre saputo: la tecnologia fa gli interessi del sistema in cui è inserita. Perché sia rivoluzionaria deve scardinare l’ordine economico, e non si vedono in questo momento cambi di sistema economico all’orizzonte. In altre parole, sul lungo periodo lo stesso sistema che produce l’innovazione tecnologica ne soffocherà tutte le potenzialità.
Tutto nero, quindi? No. Alcuni segnali di cambiamento, sia nel sistema economico che nella cultura con cui ci accostiamo alle tecnologie, si iniziano a vedere. Complice anche la crisi economica, si inizia ad abbandonare la visione aziendocentrica del mondo in favore di una maggiore attenzione alle comunità. Soprattutto si inizia a vedere che l’adozione di certe tecnologie non è inevitabile, e che la loro gestione in un modo o nell’altro dipende molto dalle scelte di cittadini e istituzioni.
Dunque, non è solo la tecnologia che cambierà il mondo, come da più parti viene fatto intendere. Per molti aspetti questa ideologia dell’innovazione fine a sé stessa è conservatrice, quando non apertamente reazionaria: l’entusiasmo per la tecnologia finisce per essere un placebo ai problemi contemporanei, garantendo in questo modo la sopravvivenza di un sistema basato sullo sfruttamento (l’ultima frase sembra arrivare dalla metà dell’ottocento, ma di quello si tratta. Se non la capite: poveretti. Tornate a giocare a Ruzzle). La tecnologia diventerà uno strumento potentissimo di liberazione solo quando il divario con la cultura che la esprime tornerà a restringersi. Quando verranno messi in discussione non solo gli attuali equilibri economici, ma anche il modo in cui ci si accosta ad essi, come fossero metafisiche. Quando la cultura radicale si rinnoverà e penserà a strumenti per portare il mondo nel XXI secolo, e non per farlo tornare al XIX e alle Gloriose Lotte.
In questo il compito dei narratori è potentissimo. Abbiamo il potere di creare nuovi racconti, nuovi modi di vedere il futuro che ci aspetta. E la prima cosa da fare è smettere di guardare nello specchietto e trovare il modo di raccontare la realtà che ci aspetta con strumenti nuovi. La narrazione è lo strumento più potente per cambiare il modo di leggere la realtà di una società. Chi riesce a cambiare narrazione riesce a cambiare il mondo. Il cambiamento dunque è possibile non grazie, ma insieme alla tecnologia. Se la tecnologia si accompagnerà a una nuova politica, a nuove narrazioni sociali, ci sarà il cambiamento vero. Viceversa, se si continuerà a considerare entrambe le cose come separate e non necessarie l’una all’altra, le cose andranno diversamente. Le prime avvisaglie le abbiamo avute, e non sono buone. Non possiamo permetterci di perdere tempo.