Mentre dappertutto si cerca di giocare alla rivoluzione, scimmiottandone i linguaggi e cercando di convincersi di essere davvero un fattore di cambiamento e non la solita sottocultura parassitaria, c’è chi invece fa della conservazione la propria ragion d’essere. Il che non è male in sé, ma è strano che un inno alla tradizione e alla purezza dei tempi andati che non torneranno e bisogna preservare arrivi proprio da gente che invece dovrebbe avere nel sangue il guardare avanti, il ribaltare le cose. Il rock, l’ho detto diverse volte, nove volte su dieci è reazione pura, è diventato motivo per segare le gambe a qualsiasi invenzione e tramandare una cultura che dovrebbe essere morta già una trentina d’anni fa. Ah ecco i sorrisetti, ha detto che il rock è morto, eppure senti queste chitarre, senti che bravi i Trikkeballak, fanno indie sperimentale con una virata all’elettronica del campanello di casa.
E’ morto. Facciamocene una ragione e vivremo tutti meglio.
(in realtà il concetto di nove-volte-su-dieci non è proprio mio. L’ho maturato leggendo Bastonate. Che non è responsabile delle cazzate che dico io, ma che dovreste leggere comunque.)
Non è una questione di nostalgia. Non è che bisogna fare quello che si faceva una volta. Proprio il contrario: sto aspettando gente che cerchi di contestare l’oggi, con i linguaggi di oggi, che cerchi di spaccare e spaccarsi in modo nuovo, non seguendo un copione e raccontandosi a vicenda che se fosse il 1974 tutto sarebbe diverso, più bello, più genuino. Come mai tutto, delle band moderne, mi sembra avere appiccicato il bollino “per favore per favore PER FAVORE apprezzateci”? Non solo la musica, che è sempre fatta per rientrare in qualche target fighetto e paraculo, che fa sempre tantissima attenzione a non offendere nessuno con testi a base di scazzo esistenziale medioborghese e lunghe escursioni nel pop che vorrebbero essere ironiche e sono solo tristi. No, qui è proprio tutto un movimento, una generazione di musicisti che dal look barbuto ma indie-inappuntabile alla presenza sul palco alla distorsione delle chitarre, sempre presente ma sempre insopportabilmente gradevole e infiocchettata, non fa che elemosinare attenzione e like, svendendosi al concetto che la musica è tradizione e che per riuscire da qualche parte bisogna pagare tributo a chi è venuto prima di te.
Va bene pagare tributo, si fa dappertutto, è il modo di qualsiasi musicista per crescere. Ma qui si sta esagerando, la musica si fa solo con i tributi, e ancora dopo quarant’anni non riusciamo a toglierci di dosso la scimmia del cantautorato del cazzo, gente che ha avuto qualche idea buona più di trent’anni fa e ora campa di rendita. Anche, e soprattutto, nelle menti dei più giovani. Per questo, quando vedo – esempio – Pelù in televisione a fare i reality, e poi in libreria con un libro in cui vorrebbe ancora fare la parte del ribelle, mi viene da fare una seduta spiritica ed evocare un tossico qualunque della seattle degli anni ’90, che sarà morto asciugato dall’eroina ma almeno, nel tempo che gli è toccato vivere con noi, ha avuto più vita, più palle e più musica di tutta questa gente, che passa il tempo a smussare gli angoli per piacere all’Uomo Comune.
Era un esempio. Pelù ha scritto alcune delle più belle canzoni in italiano che conosca, e mi fa incazzare proprio per questo.
Era un esempio anche su come funziona tutta una cultura. Avremmo bisogno di spirito punk, di voglia di spaccare, di gente disposta a rischiare in prima persona per le sue idee e per vivere una vita, per quanto possibile, autodeterminata, lontana da tutte le cazzate di cui ci facciamo rintronare tutti i giorni. Lo stesso discorso che si fa sulla musica potrebbe essere fatto per la letteratura italiana, per dire. Ma non cambia. E’ pieno di persone che non hanno idea di cosa significhi avere passione, o, se ce l’ha, fa di tutto per nasconderla. Che è peggio, non meglio. Ci sono, come sempre, le eccezioni. Ma il discorso non cambia: nelle canzoni, nei libri, nei film italiani ci sono sempre personaggi che si guardano l’ombelico, e oh com’è brutto sentirsi come mi sento, però dai, ci farò i conti, sono comunque un eroe perché sono normale e mi rassegno a vivere una vita mediocre come tutti gli altri. Siamo talmente fighi che siamo tutti uguali.
Ci vuole un pò di sporco nella scena.
Aspetto: la maglietta di SAMCRO, dovrebbe arrivarmi oggi.