C’è stato un periodo in cui andavo matto per i libri di self-help. Li leggevo, cercavo di trarne qualche consiglio utile, cercando sempre di mantenere la giusta prospettiva. Il più delle volte si tratta di libri infarciti di stronzate che ti esaltano per qualche giorno, ti fanno credere che per cambiare le cose basti aggiustare qualche minuzia, ma poi, esaurito l’effetto iniziale, si rivelano per quello che sono: raccolte di ricette superficiali che non aggiungono nulla, davvero nulla, alla vita. Però è divertente leggerli, pensare che qualcuno, seguendo davvero alla lettera quello che consigliano, possa migliorare un pò ed essere più felice.
Qua e là, ci sono dei concetti che funzionano e scalfiscono questa bolla di pochi giorni, arrivando a diventare abitudini più o meno stabili. Per anni, ad esempio, ho scritto le pagine del mattino, tre pagine di pensieri appena sveglio, e mi hanno aiutato molto, almeno fino a che non mi sono reso conto che erano un semplice esercizio di egocentrismo che lasciavano poco spazio alle altre cose. Un’altra abitudine, o mania, che mi hanno lasciato questi libri è quella dell’organizzazione. Sono diventato una specie di nerd dei sistemi per ottimizzare il tempo e il lavoro, cullandomi nell’illusione che, per fare tutte le cose che voglio fare per riempirmi la vita – e sono tante, sempre molte di più di quello che riesco a maneggiare nella giornata media – basta un’applicazione, un sistema, un metodo. Anche in questo caso, provo per qualche giorno e poi lascio perdere, perché non è stato ancora inventato il sistema a prova della mia attenzione saltellante e del bisogno di mood giusto che ho quando devo fare partire qualcosa. In ogni caso, io ci provo. Faccio una review annuale, nella magica settimana che separa natale e capodanno, in cui scrivo quello che voglio fare per l’anno successivo. Poi riempio il computer, i taccuini, le tasche di liste di cose da fare, di idee per fare arrivare qualche scritto dove deve arrivare e iniziare finalmente a guadagnare più di un tozzo di pane. E poi mi metto d’impegno per ignorare le liste che io stesso ho scritto, facendo di testa mia. Scrivo altre cose, non scrivo proprio, inizio a cercare gruppi punk e a progettare improbabili viaggi lungo il Pacifico, per sperimentare il surf della zona di San Diego, allenarmi in una palestra di Los Angeles, visitare in pellegrinaggio Berkeley, farmi un tatuaggio a San Francisco prima di andarmene a qualche punk rock show, e poi puntare verso Seattle e Vancouver. Potrei farlo, vero? Cosa ci vuole? Scriviamo una lista di cosa bisogna fare per il viaggio sul Pacifico.
Questa mattina mi sono svegliato con il rimbalzo in testa di tutte le cose che voglio scrivere, e sono troppe: altri soggetti per un settimanale, almeno un altro per una pubblicazione mensile, una graphic novel per un editore con cui ho stabilito un contatto. Da qualche parte nel futuro prossimo vedo anche me stesso e una stanza, in cui chiudermi per gli almeno sei mesi che mi ci vorranno per scrivere un altro romanzo, che ha iniziato a bussarmi sulle pareti del cranio e non sembra volersene più stare tranquillo. Ah, e poi ci sono le cose non collegate alla scrittura. Vorrei riprendere a fare immersioni, imparare il surf, allenarmi abbastanza da fare uno sparring da tre round o una piccola gara, fare un viaggetto per concerti, incontrare qualche amico. Su qualche taccuino ho scritto anche “fare un tatuaggio”, e non capisco perché, era da anni che non mi veniva in mente di tatuarmi di nuovo.
Non credo sia una questione di tempo, deve essere di pazienza. Si può fare tutto, ma a volte la mia pretesa è di farlo tutto insieme. Calma ci vuole.
Ascolto: The Old Firm Casuals, gran bella scoperta di ieri.