Non è passando davanti a un negozio, o entrandoci, che siamo liberi. Questo dovrebbe essere chiaro a tutti, in questo 2016 che si svolge nella crisi d’ansia più grande della storia recente. Neanche l’attacco alle Torri Gemelle ci spaventò tanto. Allora eravamo alla fine di un bel periodo di pacche sulle spalle, tutto era stato vinto e non c’era più niente da dimostrare, se non che il pezzo di mondo in cui viviamo era ricco e l’unico modo di vivere era quello inventato da noi. Gli aerei arrivarono sulle torri lasciandoci con bocca spalancata e tremori e occhi arrossati per quanto li avevamo stropicciati, un intero vocabolario di nuovi termini e nuove idee entrò nella nostra vita. Un risveglio. La fine di un sogno, l’ingresso del mondo reale nelle nostre vite.
Oggi siamo dei veterani. Abbiamo fatto due guerre e siamo stati in luoghi devastati, abbiamo visto persone disperate attraversare il mare per condividere un pò del nostro benessere, siamo stati, tutti, sotto attacco di folli con il mitra, in locali e stazioni della metro fatte saltare con l’esplosivo, in mezzo a strade in cui un attimo prima sorridevamo e mangiavamo un gelato e un attimo dopo la polvere, l’acciaio e il sangue erano sparsi nel raggio di centinaia di metri e uomini armati urlavano di liberare tutto e le sirene erano l’unico suono rassicurante in cui potevamo sperare. Neanche le nostre lacrime sono servite a pulirci le guance, siamo rimasti tremanti e distrutti da tutto quello che abbiamo visto, anche se solo su uno schermo televisivo, e dopo avere spento tutto e aver cercato di riprendere la nostra vita normale abbiamo continuato a tremare.
La cosa più dannosa che abbiamo fatto è questa. Tremando ci siamo dimenticati che non basta spegnere per dimenticarci di tutto quello che succede. Che siamo stati messi in trincea contro la nostra volontà, a combattere una guerra a cui non abbiamo chiesto di partecipare. In ogni momento è come se avessimo un’uniforme addosso ma non vogliamo accettarlo, andiamo avanti come se si potesse davvero tornare a quando il mondo era il migliore dei mondi possibili.
Che ironia, il migliore dei mondi possibili si sta rivelando un inferno per tutti quelli che lo abitano. Basta qualche attacco coordinato per seminare il panico e aumentare la richiesta di misure eccezionali, che governanti del tutto incapaci sono sempre molto ben disposti a soddisfare. Rivogliamo indietro i bei vecchi tempi ma non sapremmo che farcene. Perché il punto della questione è tutto qui. Ripetiamo di voler essere liberi, di voler difendere questa vecchia, corrotta ma ancora fragile e preziosa democrazia dagli attacchi dei fascisti islamici per i quali l’unica prospettiva è quella della morte, ma non abbiamo nessuna prospettiva, nessuna idea di vita da contrapporre a questi schifosi. Abbiamo scambiato tanto tempo fa la vita con un percorso rigido che toglie spazio a qualsiasi avventura e improvvisazione, e con una lista di roba che bisogna avere in casa, addosso e nelle proprie vicinanze per essere delle persone a modo. La vera paura non è quella per la propria vita, di cui molti non saprebbero davvero cosa farsene, ma è di perdere tutto quello che si ha. Detto ancora meglio, l’unico sentimento che oggi domina è la paura di qualcosa di talmente fumoso che nessuno riesce a chiamare per nome. Nessuno vuole morire, ma unicamente perché siamo illusi che saremo eterni, chiusi dentro i nostri bozzoli pieni di roba.
A mancare è il coraggio. Secondo Churchill è una virtù essenziale, perché permette a tutte le altre di emergere. Di virtù in giro se ne vede poca, mentre la sola cosa in cui siamo bravi è accumulare, ringhiare, difendere il nostro fortino, ritirarci in tante piccole enclave con i cannoni puntati verso tante altre piccole enclave. La chiusura è la musica che fa marciare il mondo, al punto che alcuni pensatori, che sicuramente non hanno mai messo il naso fuori dai corridoi con aria condizionata in cui esercitano le proprie meningi, hanno teorizzato l’eroismo di chi si arrende, di chi non vuole avere delle avventure e fare qualcosa di unico della propria vita ma sceglie di marciare in coda agli altri per paura di essere visto a trasgredire le ferree leggi non scritte della nostra società. Interi eserciti di schiavi attaccati alle sedie costretti a passare i propri anni migliori chiusi in uffici, a elemosinare un tozzo di pane per poter vivere come tutti ed essere rassicurati che sì, anche loro sono normali, anche loro appartengono all’umanità, non saranno degradati né messi al palo per questo. E queste persone, questi monumenti alla resa totale incondizionata di fronte a tutto quello che rende la vita sterile e disperata, sarebbero degli eroi?
Anche i re dicevano che i veri eroi sono i sudditi obbedienti. Ed è per lo stesso motivo che oggi si parla così: è un eroe, è coraggioso, chi sceglie di lavorare, comprare e stare zitto, chi mette da parte ogni ambizione. Tutti eroi che fanno una pace separata, ma invece di staccarsi da una guerra che non hanno scelto preferiscono rimanere in trincea per paura e conformismo, pronti a farsi usare come carne da macello da un sistema che non li conosce per nome e per faccia.
Questo ci spetta? Qualche anno di pacche sulle spalle, e alla fine un pò di soldi e nessuna soddisfazione, se non quella di avere fatto le cose nel modo giusto?
Il modo giusto. Alla fine di una vita passata a fare quello che ci si aspetta, una persona non sa nemmeno più come si formula un sentimento personale. Eppure dovremmo imparare a riconoscere quello che sentiamo davvero, non quello che ci si aspetta che sentiamo.