Questa è la seconda parte dei miei appunti su Jordan Peterson, psicologo canadese conservatore. Nella prima avevo scritto a grandi linee del suo pensiero e di come rimetta insieme certi punti fermi del pensiero occidentale, rendendoli accessibili anche a chi non ha potuto prendere un dottorato in psicologia. Qui parlo di come il pensiero di Peterson sia entrato in rotta di collisione con la sinistra radicale americana, del perché nonostante tutto sia sbagliato considerarlo un filosofo dell’alt-right e del perché ridare importanza all’individuo e ai suoi diritti è molto meglio del ritorno generalizzato alle tribù a cui stiamo assistendo da qualche anno.

Quindi dovremmo uccidere tutti i vegani?”

Le regole per la vita di Jordan Peterson sono banali. Stai dritto con le spalle, sistema la tua stanza prima di cambiare il mondo, trova un amico che ci tiene a te: sono tutte cose che potrebbe dire una nonna qualsiasi. A renderle efficaci sono gli argomenti che Peterson ci costruisce sopra, le lunghe digressioni sul simbolismo e sul significato dei miti. Come spiega lo stesso Peterson e come dicono tantissimi suoi lettori sono cose che si sentono prima ancora di capirle, come se a un livello profondo si fossero già sperimentate o fossero già scritte da qualche parte nel codice genetico. Perché allora i critici dello psicologo canadese continuano a contestarle con la stessa durezza delle minacce all’ordine pubblico? Perché molti pensatori, giornalisti e semplici attivisti più o meno assimilabili alla sinistra cercano di buttare Peterson nel pentolone puzzolente dell’alt-right e della destra?

Il caso più famoso e rozzo di come una certa cultura approcci Peterson è quello dell’intervista con Cathy Newman su Channel 4. In quella conversazione di un anno fa l’intervistatrice continua a fare domande a Peterson e a semplificare il suo pensiero per farlo apparire sessista e discriminatorio. Peterson rimane calmo, risponde punto per punto e riesce a coglierla in fallo: alla domanda di Newman su cosa gli desse il diritto di offendere una minoranza, risponde che per pensare deve essere prevista la possibilità di essere offensivi. “Come questa intervista – prosegue Peterson – tu stessa stai rischiando di offendere me per arrivare alla verità. Più potere a te, per quello che mi riguarda”. L’intervistatrice balbetta qualcosa e non riesce a rispondere. Peterson: Ah, Gotcha.

Quel momento di quell’intervista è diventato un meme e il pretesto per qualche esaltato alt-right di scrivere le cose drizzacazzo che di solito si leggono sugli striscioni negli stadi (“Peterson DISTRUGGE FEMMINISTA”, Curva Sud fedeli alla linea). Ma non si può negare che sia un momento che chiama l’applauso, soprattutto per chi si è stancato di essere circondato da poliziotti del linguaggio che dicono cosa si può pensare e cosa no. E attenzione, di solito è un atteggiamento che si pensa sia diffuso solo a sinistra, ma il politicamente corretto sta diventando una regola anche a destra, perché è una strategia retorica per sostituire alle argomentazioni le classificazioni (“Se dici che l’immigrazione può causare problemi sei razzista”, oppure “Se sei a favore dell’immigrazione sei un radical chic”: in entrambi i casi, dove sarebbe l’argomentazione?). C’è sempre qualcuno con un manuale mentale che stabilisce se sei offensivo o troppo corretto o troppo poco, se sei trasgressivo e quanto puoi esserlo, se quello che fai va bene o no e se stai offendendo la sua libertà di parola oppure no.

Spoiler: sono tutti vittime del proprio carnefice immaginario. Il mondo si è riempito dei nipotini di quelli che andavano in giro con il righello a misurare la lunghezza delle gonne delle donne, solo che adesso misurano quanto sei scorretto.

Scopettino contro caos, vediamo chi vince.

Parla come ti pare

Tornando al gotcha-moment, la giornalista attaccava con arroganza ed ha avuto il benservito. Ma in altri casi non è andata così. In un’intervista al New York Times saltava fuori che Peterson avrebbe voluto forzare per legge la monogamia, e per quanto lui abbia fatto più di un chiarimento in proposito molti continuano ad attaccarlo dicendo che è quello che vuole costringere le donne e gli uomini a sposarsi. Lui invece parlava di rinforzare socialmente il valore della monogamia, perché per gli studi che ha citato una società in cui in prevalenza c’è la monogamia è una società più stabile. Che è una cosa un po’ diversa e sfumata da MIO DIO VUOLE DISTRUGGERE LA LIBERTÀ DELLE DONNE. E in ogni caso ha espresso un’opinione. Da quand’è che pretendiamo la sparizione delle idee che non ci piacciono, che ci spaventano, o che sono sbagliate? E soprattutto, da quando accettiamo che debbano essere gli Organi Superiori (uno stato, una corporation che controlla l’informazione) a proteggerci dalle idee brutte e cattive e a rimuoverle dalla circolazione?

(Disclaimer per il lottatore da tastiera di passaggio: ovvio che questo non significa che tutti abbiano la libertà di dire quello che vogliono. Soprattutto, non bisogna pensare che la libertà di pensiero sia libertà dalle conseguenze di quello che si dice. Ma questo arriva dopo che uno ha detto quello che vuole dire. Poi ci sarà sempre quello che fa la vittima o quello che pensa di essere più furbo degli altri, usando la libertà di parola per bullizzare. Ma questo è un territorio in cui si è sempre andati con la navigazione stimata, non esiste un protocollo preciso e scolpito nella pietra, ci sono situazioni e casi complessi. Il problema vero è che oggi a questa complessità si risponde sempre di più chiedendo l’aiuto della mammina, dello Stato o di un suo surrogato. Questa cosa è molto più preoccupante di qualche Twitter fight da cui vi sentite minacciati)

Il motivo per cui Peterson è finito spada contro spada con la parte progressista della società anglosassone è per la sua battaglia contro il politicamente corretto, contro la cultura che l’ha causato e contro tutti i suoi figlioletti, dall’ossessione per la livellazione dei sessi a quella per la creazione di spazi “non offensivi” nelle università, che spesso diventano zone di pattugliamento e punizione. Uno dei casi che lo rese famoso, citato anche nell’intervista del Gotcha: si oppose al Bill C-16, una legge canadese che avrebbe costretto i professori universitari a chiamare le persone trans con il pronome, maschile o femminile, che si erano scelte. Motivo dell’opposizione di Peterson: le persone trans hanno il diritto di sentirsi e chiamarsi come meglio credono ma nessuna legge deve provare a dirmi come posso parlare, perché il linguaggio è la porta attraverso cui si controlla il pensiero. Magari qualche persona trans si sarebbe offesa, ma per potere pensare bisogna correre il rischio di offendere.

Una maledetta posizione di principio come non se ne vedevano da tempo, quindi, dato che di recente, nelle università del mondo occidentale ma in generale ovunque ci sia uno spazio di dibattito pubblico, il comportamento standard sembra essere diventato quello di lasciare perdere, non opporsi, lasciare stare soprattutto le questioni di principio che potrebbero portare da nessuna parte e causare parecchie rogne. Anzi no, lo standard è chiedere che chi ci dà fastidio venga rimosso, perché ci fa sentire unsafe. Peterson denuncia molto spesso questo stato di cose e i suoi bersagli gli studi postmodernisti per i quali non c’è gerarchia che non sia dettata da rapporti di potere più o meno brutali e secondo cui tutto è determinato da questi rapporti di potere, anche le preferenze sessuali di uomini e donne o la capacità di fare le cose. Peterson, sulla base dei suoi studi, rigetta quasi del tutto questo modello e risponde che la gerarchia è qualcosa di interconnesso a qualsiasi esperienza, non solo a quella umana, e che quindi la spiegazione di una gerarchia non può essere solo basata sulla cultura. Da qui la sua passione per gli astici, diventati il simbolo dei suoi sostenitori, a cui dedica tutto il primo capitolo del suo libro: animali con un sistema nervoso elementare che formano gerarchie.

Ovvio quindi che Peterson si opponga all’idea di un Patriarcato che domina il mondo da secoli solo sulla base della mascolinità tossica e del suo potere. Questo, a sua volta, fa infuriare il movimento femminista, che sostiene sia un modo di ridare potere ai valori tradizionali occidentali e, dunque, agli uomini, i dominatori tossici da riformare. In altre parole la lotta si fa seria. Era partito come uno scontro sul modo di chiamare le cose e si sta espandendo a controllare il pensiero, quello che può essere pensato e quello che non può essere pensato, e il modo di descrivere i rapporti di potere.

Da psicologo a meme e ritorno

Ma il vero problema che molti hanno con Peterson non è solo quello che dice (anche se a dirla tutta è un vero e proprio palo nel culo quando si discute con lui, almeno a giudicare dalle sue interviste). Il professore di psicologia che vende milioni di copie di un libro è anche una super star della rete, ha milioni di visualizzazioni delle sue lezioni pubblicate su Youtube, i suoi tweet raggiungono centinaia di migliaia di persone e partecipa regolarmente ai podcast più ascoltati in America, cose da milioni di download che qui in Italia ancora non riusciamo neanche a immaginarci. Peterson, in altre parole, non è uno che parla al pubblico piccolo di una classe universitaria e alla platea sempre più piccola di quelli che leggono dei libri, uno a cui puoi semplicemente togliere il pubblico per farlo stare zitto. No, ha trovato il modo di fare l’intellettuale pop, raggiungendo milioni di ragazzi e persone nel modo più immediato possibile, tagliando ogni intermediario, e il mio sospetto è che i suoi antagonisti non gli perdonino soprattutto questa visibilità: non solo dice cose sbagliate, ma lo fa senza rimanersene ai margini. Che io sappia, ancora nessun intellettuale aveva avuto un impatto così grande sulla rete, parlando di cose complicate come quelle di cui parla Peterson e soprattutto facendo della rete stessa uno strumento per il dialogo, la ricerca e la riflessione. Finora la rete era vista più come una zona di divulgazione di contenuti, che di confronto.

Oltre a tutti gli articoli che parlano di lui e ai forum dedicati ai suoi scritti e alle lecture e alla richiesta di sparizione dalla faccia della Terra, Peterson è al centro di un’invasione di meme: dalle immagini che lo ritraggono con Kermit la rana – la voce di Peterson in effetti ricorda un po’ quella di Kermit – a immagini che ripetono le sue frasi alle cravatte con l’astice, la rete è invasa dalla sua presenza. L’unico posto in cui non ce ne siamo accorti è l’Italia, dove la traduzione di 12 regole per la vita è arrivata nel novembre scorso, curata da una casa editrice che di solito si occupa di Self Help. Poi niente.

Con questa celebrità, nel frattempo, è arrivato anche uno degli effetti collaterali. Peterson viene strattonato dall’estrema destra, che cerca in tutti i modi di appropriarsi di quello che dice e di usarlo contro tutto quello che sta alla propria sinistra. Sovranisti, Americafirst-isti, populisti prendono le parole d’ordine di Peterson e le riutilizzano come mazze per trollare gli interlocutori. È la classica dinamica delle discussioni on line in cui il nemico del mio nemico è mio amico, e quindi si utilizzano argomenti non per il loro contenuto ma per il semplice effetto che hanno sugli avversari. Così, è diventato facile vedere branchi di sfigati che parlando di donne tirano in ballo la creazione di gerarchie come tra gli astici o citano altri concetti resi popolari da Peterson senza mostrare di averli capiti. Un esempio chiarissimo di questa dinamica si vede nel subreddit dedicato a Peterson, nato come luogo in cui raccogliere i suoi vari contributi e discuterne ma che oggi è diventata una bacheca in cui lamentarsi delle presunte ingiustizie della società femminista-antiuomo-dominata dalla sinistra o in cui diffondere porcherie sul suprematismo bianco. Sa troppo di caricatura senza avere l’intenzione di esserlo, e quando sparisce il senso del ridicolo è chiaro che qualcosa è andato storto.

Bisogna dire che Peterson non ha mai preso le distanze da tutto questo. Sarebbe irragionevole chiedergli di prendere le distanze da milioni di persone che fanno un uso distorto delle sue idee, anche perché non c’è un punto preciso in cui si raccolgono. E se dovesse valere la regola per cui i fan devono essere un modo per valutare l’originale credo che neanche a sinistra si passerebbe un bel momento. Ma lo stesso, Peterson non è mai sembrato molto disturbato dall’utilizzo che viene fatto delle sue parole d’ordine. Per questo, e per la solita dinamica tribale, Peterson viene buttato da blogger, attivisti e giornalisti di sinistra nel calderone dell’estrema destra. Come si fa anche in Italia, almeno quel paio di blogger che ne hanno parlato. E come si fa senza nessuna prova, perché Peterson si descrive come un centrista liberale, sostiene la redistribuzione verso le fasce più disagiate della società e al tempo stesso la limitazione dell’intervento dello stato, e le sue stesse idee sono ben lontane da qualsiasi ideologia estrema, sia di destra che di sinistra. Più di una volta Peterson ha detto che la sinistra è necessaria perché bilancia gli inevitabili effetti negativi delle gerarchie e perché ogni società deve prendersi cura delle persone che rimangono in fondo alla scala sociale. Più di una volta ha ripetuto che dare pari diritti alle donne, uguaglianza di condizioni di partenza e di trattamento sociale è necessario per la crescita della società. Ma questo è passato poco. Come si sa, qualsiasi cosa che non sia di gradimento della sinistra diventa direttamente qualcosa di destra, e se la sinistra lo vede come pericoloso è direttamente fascista, mentre a destra si vive nella costante speranza di fare rosicare quelli di sinistra e si bada poco a dettagli come leggere un libro o ascoltare una conferenza e capirla. In entrambi i casi si perdono i testi e si comincia a lottare agitando dei fantasmi che non hanno nessun corrispondente nella vita reale.

In questi giorni a Peterson è stata ritirata una fellowship accademica all’Università di Cambridge, dopo che gli era stata offerta appena tre mesi fa. Il motivo per il ritiro: poche settimane prima della strage di Christchurch Peterson si trovava in Nuova Zelanda, e durante un incontro con il pubblico, uno di quelli in cui migliaia di sconosciuti vanno a farsi una foto con l’autore dopo averlo sentito parlare, un tizio si è fotografato accanto a Peterson con una maglietta in cui c’era scritto “Sono un orgoglioso islamofobo”. Questo è bastato per spingere Cambridge a ritirare l’invito, mentre una catena di libri neozelandese ha ritirato 12 regole per la vita dagli scaffali per lo stesso motivo (per poi rimettere il libro sugli scaffali una decina di giorni dopo). Non so, ma per me un libro tolto dalla circolazione è sempre un cattivo campanello d’allarme.

La vicenda dell’esclusione da Cambridge è descritta in questo articolo, in cui l’autore spiega che, in occasioni come quella in cui Peterson è stato fotografato accanto alla persona incriminata, è molto difficile capire chi ti sta venendo incontro, ed è ancora più difficile guardare l’abbigliamento di tutti quelli che vengono a fotografarsi con te. Nello stesso articolo conclude che adesso chi vuole silenziare un autore che non gli piace ha un’arma in più, può mettersi una maglietta con un messaggio ridicolo e andarsi a fotografare con lui.

A me ricorda l’abitudine che si era diffusa una quindicina di anni fa sui giornali italiani, quella di ripubblicare vecchie foto di politici a feste o matrimoni mentre si trovavano accanto a persone che non conoscevano. Anni dopo, si scopriva che quelle persone erano dei mafiosi, e sulla base della compresenza a una festa si concludeva che il politico di turno era un mafioso. Le cose cambiano forse di tono, ma mi sembra che i metodi siano gli stessi. Lo stesso fottuto campo da gioco, come direbbe un messia. 

Parlami, o musa….

Contro la tribù

Questo sarebbe il momento delle conclusioni, ma non sono sicuro che ne esista una. Peterson è un fenomeno anche troppo americano e occidentale, che rappresenta alla perfezione i tempi confusi che stiamo attraversando su entrambi i lati dell’Atlantico. Qualcuno negli Stati Uniti dice che lì è in corso una guerra civile intellettuale che riguarda il corso da fare prendere all’America nel corso dei prossimi decenni. Le forze in campo sarebbero quelle della sinistra radicale, da un lato, con il suo progetto identitario e di creazione di spazi sempre più protetti per ciascun gruppo, e quelle dei centristi, liberali, della destra conservatrice, dell’alt right e di tutta la galassia populista dall’altro. Le divisioni non sono nette, o non seguono quelle classiche tra i partiti, e infatti oggi si trovano sempre più spesso persone che dicono di essere marxiste e di sinistra che non si fanno alcun problema a professare il proprio antisemitismo o ad allearsi con partiti di destra per semplici fini di potere o per scardinare l’ordine democratico. Tutto pur di andare contro o di farsi rizzare ancora una volta il cazzo al suono della parola rivoluzione.

Se le divisioni non seguono i partiti, c’è una linea di frattura che sembra sempre più consistente, quella su cui si lotterà sempre di più nei prossimi anni. Da un lato quelli che vogliono, a vario titolo e grado, conservare o rilanciare vecchi principi, quelli basati sui diritti degli individui e la loro prevalenza sullo stato. Dall’altro, quelli che vogliono superare quei diritti per vari motivi e scopi, chi per andare verso una società di uguali in cui l’identità è definita dal gruppo di appartenenza (il genere, la pelle, la minoranza, lo stato, il proprio passato), chi per tornare a una società in cui ci sono cose più importanti dell’individuo a decidere ogni gerarchia (stato, classe, razza, etnia, religione).

In Europa andiamo molto spesso a rimorchio degli Stati Uniti, quello che succede lì può essere una buona indicazione di quello che succederà da noi tra qualche mese o qualche anno. Il populismo governa sia di qua che di là, l’attacco alla democrazia è simmetrico. Le stesse idee populiste o assurdamente progressiste e campate per aria su come affrontare il futuro girano anche qui, e pattugliare il linguaggio e i comportamenti per stabilire qual è il modo giusto di pensare è sempre più la regola, una specie di piccolo totalitarismo privato che sta diventando sempre più invadente. La tentazione di rimettere al centro di tutto la tribù, d’altronde, ormai è conclamata sia a destra che a sinistra, e lo smarrimento di molte persone è sempre più lo stesso. Peterson, con la sua spinta a considerare l’individuo e la sua responsabilità sopra ogni cosa, può essere un buon antidoto a tutto questo, uno stimolo alla discussione e un modo di iniziare a costruire o tracciare una strada diversa.

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