Le cose migliori arrivano dai posti più insospettabili. Salta fuori, durante il weekend, una risoluzione votata dal Parlamento europeo sull’Unione Sovietica, e già in questo modo non si può immaginare argomento più tedioso. Il Parlamento europeo, un’istituzione lontana e burocratica, e l’Unione Sovietica, robaccia vecchia che richiama alla mente vecchi uomini con la pappagorgia avvolti in abiti grigi e scadenti, al comando di una superpotenza ubriachi di vodka e volgarità mentre i loro cittadini indossano camicie cancerogene e non riescono a trovare il burro. Crollata su sé stessa, la vecchia Unione delle repubbliche socialiste sovietiche, quando l’unica cosa rimasta da fare era difendere l’esistente, senza nessuna possibilità di andare avanti né speranza di rendere la vita dei suoi cittadini meno disperata di come l’avevano trovata. 

Il Parlamento europeo, dunque, fa quello che normalmente fa un parlamento mezzo rappresentativo e mezzo no che deve ancora trovare un ruolo nella sua esistenza, e approva una risoluzione sui regimi totalitari molto difficile da riassumere perché ci mette dentro un po’ di tutto, da considerazioni date per assodate su cui invece ancora gli storici dibattono, come la responsabilità da assegnare all’Urss per lo scoppio della seconda guerra mondiale, alla semplice constatazione che i regimi totalitari comunisti hanno imperversato per decenni nella vita politica e civile europea. I parlamentari europei pasticciano, mettono insieme con lo sputo roba che insieme non dovrebbe starci, fanno considerazioni che potrebbero risparmiarci e scrivono un testo che non si capisce bene che funzione abbia.

Se non che la risoluzione, che normalmente sarebbe finita nel dimenticatoio come tante altre, riesce a stanare una corrente, un riflesso automatico che chiamare “pensiero” sarebbe troppo, ma che si credeva comunque sepolto da tempo. Il che, se non altro, vale per rivalutare il Parlamento e la sua utilità. L’Unione Sovietica, sempre sia lodata per la paura che ci ha fatto per sessant’anni, sembrava un caso chiuso della storia, grazie anche all’apertura di archivi un tempo segreti custoditi in palazzi come la Lubjanka, sede storica della polizia segreta sovietica e poi putiniana. Ed ecco il riflesso, la sorpresa che rompe la noia, o, a seconda dell’inclinazione, rischia di aumentarla fino al punto in cui ci si addormenta per trent’anni: alla notizia dell’approvazione della risoluzione europeista un sacco di persone si affrettano, si allarmano, sottolineano indignati – non si fa più niente, al giorno d’oggi, senza indignazione – che non si può dire che l’Unione Sovietica sia responsabile come il nazismo di crimini totalitari, e meno ancora si può dire che sia corresponsabile dello scoppio della seconda guerra.

Come il punk rock, solo più sovietico.

Tutto mi aspettavo tranne che una difesa a spada tratta, nel settembre del 2019, dell’Unione Sovietica, un posto che forse aveva parecchie premesse ma poi le ha realizzate nel modo peggiore possibile, facendo sparire centinaia di migliaia di persone nel sistema digestivo della propria polizia segreta, con istruttorie ridicole fatte apposta per mandare al macello persone innocenti solo sulla base della loro appartenenza, della loro amicizia o dell’aver smesso di applaudire un attimo prima degli altri a un proclama del Compagno Stalin (storia vera). In modo molto laico, dovendo fare un bilancio, è meglio che l’Urss sia sparita. Era bello quando c’era, si sapeva che c’era un nemico o un amico a seconda del proprio campo d’appartenenza, ma nonostante lo Sputnik, Gagarin e l’architettura brutalista più bella del mondo si è anche macchiata di crimini giganteschi. Se fossimo cinici come certi studiosi postmodernisti, poststrutturalisti, post-tutto, ringrazieremmo questi crimini per averci dato Alexander Solzenicyn e Caccia a Ottobre rosso, il migliore film di sottomarini di sempre, ma in generale è stato, ed è, molto meglio vivere sotto l’ombrello atlantico che all’ombra del patto di Varsavia.

Invece no, dicono alcuni. Non puoi parlare male dell’Unione Sovietica, e non puoi farlo dicendo che era uno stato totalitario come la Germania nazista. Devi ricordare, e questo è giusto, che l’Urss è stata una parte importantissima della vittoria contro il nazifascismo, però anche su questo non si riesce a non sentire quella puzza di ipocrisia che trasuda da ogni virgola quando si fa politica attraverso la storia, perché di solito la gente, di più o meno nobile tradizione di sinistra, che ti ricorda l’importanza del contributo russo o dei partigiani qui in Italia, non riesce mai a dire che sulle spiagge italiane sono sbarcati e morti migliaia di ragazzoni americani, inglesi e canadesi, o non riesce a dirlo senza il riflesso condizionato di ricordarti un attimo dopo che quegli stessi governi che autorizzarono lo sbarco si macchiarono di crimini di guerra. Si tratta della stessa gente che ripete la formuletta “i morti non sono tutti uguali, conta anche la ragione per cui sono morti” imparata a memoria, e per giuste ragioni, per combattere il revisionismo che si veste bene negli ultimi anni, eppure poi non riesce a dire che quei venti milioni di morti sovietici sono morti per difendere Stalin e il suo regime, e che ne sarebbero morti molti meno se lo stesso Stalin si fosse comportato diversamente prima e durante la guerra (quando, per dirne una, eri fucilato se da soldato dell’Armata rossa scrivevi in una lettera privata qualche dubbio sull’utilità di assaltare disarmati le divisioni corazzate tedesche).

#tuttimaschi

Insomma, c’è ancora un movimento di cervelli che reagisce spontaneamente al ricordo dell’Unione Sovietica e al suo essere uno stato totalitario, come lo era la Germania nazista. In fondo è un paragone che si fa appena da sessant’anni, ci sono pagine e pagine di studiosi – una su tutti, Hannah Arendt – che paragonano Urss e Germania nazista proprio sulla base della somiglianza evidente dei loro sistemi politici e delle loro origini. Poi, sì, i due regimi si differenziarono: in Germania si deportava su base razziale, in Russia su base sociale. Saranno stati felici in Russia.

Gratta gratta, il vero presidium da difendere non è tanto l’Unione Sovietica, ma il comunismo in sè. Puoi anche dire che un regime mandava a sfracellarsi i suoi cittadini per un commento andato a male ma non che uno stato comunista fosse un regime totalitario, e men che meno che abbia stipulato un patto segreto con la Germania nazista per spartirsi la Polonia dopo l’invasione. Quello no, macchia la tovaglia.

Così di sinistra e ancora così stalinisti. Un sacco di chiacchiere sulla libertà dei popoli, sulla difesa dei diritti universali degli individui, sulla caduta delle frontiere, per poi trovarsi a difendere l’Urss. Pensandoci, in effetti, non dovrebbe neanche sorprendere: l’idea che i fatti siano solo il frutto del potere, che non esista l’individuo ma gruppi e tribù, che certi diritti come quello alla libertà di pensiero e d’espressione o alla presunzione d’innocenza prima di un giusto processo siano diventati inutili, che esista il Bene e che sia compito dello Stato imporlo come e quando possibile sono ormai talmente diffuse da essere diventate la regola. L’eccezione, semmai, è chi ancora si ostina a credere che si possano chiamare le cose con il loro nome. 

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