Un post sullo scrivere sui blog. Fa molto primi anni duemila, ma non è che siamo andati molti avanti.

Andrebbe fatta una riflessione su cosa significhi avere un blog nel 2020, su quale ruolo può avere per chi scrive di professione. Sua Internettità Warren Ellis ci riflette da tempo e ultimamente ci ha dedicato una serie sul suo blog. Ellis ha sempre dedicato un sacco di tempo a scrivere sulla sua presenza on line e sul suo modo di comunicare su internet, e a parte questo è uno che scrive dei fumetti incredibili. Ne sa assai.

Gli unici che ancora danno importanza all’avere un blog, per quello che ne so, sono gli specialisti di digital marketing, che non fanno che ripetere quanto sia importante un blog per generare traffico e per diffondere la propria presenza on line. A parte i marketers, chi scrive di professione negli ultimi anni sembra avere abbandonato il blog come mezzo di comunicazione.

Un paradosso. Se chi scrive di professione non è in rete, dove già oggi c’è molta più possibilità sia di essere letti che di “rimanere” che su cartaceo, dove va a prendersi i lettori?

I blog della rete italiana sono vecchi o abbandonati, al massimo sono usati per pubblicizzare le proprie cose. Le idee in Italia circolano sui giornali o sempre più spesso sulle riviste on line, ma non ci sono più spazi liberi gestiti da una persona che rende pubbliche le proprie riflessioni o cerca di fare qualcosa di diverso oltre al classico articolo, saggio, presa di posizione.

Quando non scrivono cose più lunghe, gli scribacchini italiani stanno su Twitter o altri social, che sembrano avere assorbito del tutto la loro presenza on line. Se hanno qualcosa da dire, scrittori e giornalisti italiani la dicono con un articolo su giornale o su Twitter, o non la dicono.

Questo blog

Mea culpa, naturalmente. Il mio blog, per una mia scelta precisa, è un contenitore di articoli lunghissimi, riflessioni che spesso prendono giorni per essere elaborate, scritte, revisionate. Pubblico, poi sparisco e chi non mi segue sui social network non ha nessuna notizia su di me, su come la penso su certe cose e su cosa sto leggendo, ascoltando o facendo.

Non che sia necessario, ovviamente. Io stesso non leggerei un blog scritto da uno come me.

Questa andatura a singhiozzo è dovuta anche a una frase, “pubblico solo quando ho qualcosa da dire”. L’ho sempre considerato un comportamento responsabile, però mi sono reso conto che è diventata una scusa per non scrivere, non approfondire, non aprire un file e iniziare a pensare in più di qualche carattere. Stare su Twitter, dove negli ultimi anni si sono accumulati giornalisti, scrittori e in generale il <ironia> ceto medio riflessivo </ironia>, è molto più facile. Si va in giro a scorreggiare opinioni o prese di posizioni tanto intransigenti quanto inconsistenti, e ci si abitua a pensare sotto forma di tweet.

Perché poi prendersi il disturbo di pensare in modo più elaborato, se comunque finisce tutto nel compressore dei 280 caratteri?

Insomma, da un lato c’è il blog, che ho sempre interpretato come un luogo in cui non si potevano fare riflessioni banali; dall’altro Twitter, dove è vietato andare più in profondità di una pozzanghera. Ho cercato di capire se ci fossero altri giornalisti, copywriter, sceneggiatori, produttori di contenuti e scrittori che facessero un qualche tipo di blogging, da qualche parte, ma finora non ho trovato nulla.

Nulla di interessante, almeno.

Ora, è chiaro che c’è una enorme linea di confine con su scritto STICAZZI: per scrivere articoli, saggi e libri si viene pagati, mentre scrivere su un blog è gratis. Ma anche questa mi sembra una scusa. C’è un sacco di gente che sostiene di avere un sacco di cose da dire e di non poterlo fare perché nessuno le pubblica, e queste stesse persone non stanno scrivendo su un blog.

Presenza

Dipende tutto, credo, da cosa si vuole dalla propria presenza on line. A me piace l’idea di avere, e leggere, un luogo su cui pubblicare degli scritti elaborati, ma è bella anche l’idea di avere una bacheca su cui dico cosa faccio, cosa leggo, come reagisco a certi eventi. Soprattutto mi piace l’idea un po’ banale che il contenitore sia di mia proprietà e nessuno possa girare una chiave dicendomi che non posso più dire nulla perché ho offeso qualcuno.

Penso a una cosa a metà tra una status board e il quaderno d’appunti, una specie di spazio bianco su cui pensare a voce alta, proiettare cose definite a metà e osservarne l’evoluzione. Ma senza preoccuparmi di essere sempre superinteressante: un personal log può essere noioso, come dice sempre Sua Maestà. Mi piacciono molto i blog come quello di Derek Sivers, per esempio, perché sono luoghi di snodo, con una natura ibrida adatta a ricevere idee e incubarle, e si vede benissimo che sono utilizzati non solo come una destinazione di cose già formate ma anche come punti di partenza per cose nuove.

Ora: chissà cosa farò di tutte queste riflessioni. Sono impegnato in un lavoro di lungo periodo, per adesso, che ho sommato a tutte le altre mie occupazioni (presto per fare ordine su tutta la roba su cui lavoro scriverò una /now page) e che mi lascerà poco tempo per scrivere su un blog. Ma al tempo stesso credo che essere più presente sul blog sia importante, sia per sviluppare nuove idee che per farmi vivo sulla rete in modo meno squallido dei social network. Quindi tornate a trovarmi, perché potrebbe esserci qualcosa di nuovo. Niente di eclatante, ma niente di fotocopiato da altri tweet tutti uguali. Promesso

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