Le fotografie di Letizia Battaglia per Lamborghini, un simpatico pestaggio social e perché, giocando con l’acqua, si rischia di essere bagnati.

Battaglia-gate

Vengono messi dei manifesti con macchine sportive e minorenni. Alcune persone si lamentano per la presenza delle minorenni e le immagini vengono ritirate dal sindaco. Segue dibattito sull’arte.

L’ultima crisi isterica che ha attraversato la bolla del ceto medio riflessivo del paese si riassume nelle tre righe qui sopra. Se la storia fosse stata solo questa, però, non ci sarebbero state molte ripercussioni – dove per ripercussioni bisogna leggere: sfilze di post sui social network, comunicati stampa piagnucolosi, prese di posizione tanto altisonanti quanto fuori contesto.

A fare la differenza come sempre sono i dettagli. Le foto non le ha fatte un fotografo qualsiasi ma Letizia Battaglia, leggenda della fotografia palermitana famosa soprattutto per i suoi lavori sulle guerre di mafia, ma con un corpus importante di lavoro dedicato alle bambine di Palermo; a richiedere la sospensione della campagna Leoluca Orlando, sindaco per antonomasia della città, da sempre installato al governo, emblema di un certo modo dei palermitani di vedere il proprio modo di essere di sinistra e legali, colti e cosmopoliti. Beirut con il wifi, come da stronzata definizione inventata dallo stesso Orlando.

Anzi, no: a richiedere la sospensione è stata la Palermo di cui Orlando è il rappresentante perfetto, quella che si sente e aspira a essere parte di un mondo aperto, possibile, in cui l’importanza della cultura non deve essere ribadita ma ripete comunque il concetto due-trecento volte al giorno, la versione mediterranea di chi sui social pattuglia di continuo il linguaggio alla ricerca di qualsiasi ingiustizia e pretende che tutto quello che suscita indignazione venga rimosso senza pietà. Pasta con le sarde e indignazione, arancina e senso morale, pani ca meusa e apertura a nuove culture, ma solo se le culture sono abbastanza lontane da comunicare esotismo e non squallore.

Questa Palermo, dunque, trova on line le foto di Letizia Battaglia per una campagna pubblicitaria commissionata da Lamborghini e si indigna, perché l‘indignazione è il riflesso più comune del ceto medio riflessivo. Ci sono delle bambine davanti alle auto, questa è sessualizzazione del corpo femminile, sono delle Lolite, ma come si fa? Abbiamo passato anni a fare campagne contro la svendita dei corpi e dobbiamo trovarci con questi ammiccamenti al mondo delle riviste patinate, questo utilizzo della città come un set in cui la città fa solo da sfondo, conta solo la smorfia della bambina e il vecchio suggerimento semiotico, il legame semantico, cielo!, la sempiterna accoppiata auto-donne! Ma non va, ma che vergogna, ma qualcuno deve fare subito qualcosa!

La bambina con la Lamborghini in centro a Palermo, foto di Letizia Battaglia.
Scandalo!

L’indignazione morale una volta aveva, tra i suoi strumenti, chiese forconi e codice penale, o variazioni contingenti delle tre cose. Oggi si è trasferita sui social, e dopo qualche giorno di martellamento il sindaco di Palermo Orlando ha fatto mostra di un suo grande talento, quello di filtrare in modo molto selettivo le voci e le questioni che arrivano al suo orecchio. Incredibilmente sordo quando i suoi cittadini della periferia gli chiedono una nuova linea di autobus, tubazioni che funzionino e un servizio di raccolta rifiuti che non faccia diventare casa propria una dependance per blatte, il sindaco diventa sensibilissimo quando un cretino con una laurea in qualcosa, qualsiasi cosa, posta indignato su Facebook che non vuole proprio vedere quelle bambine davanti alle macchinone gialle.

(Un giorno faremo un’analisi su come sia possibile che gente con studi anche importanti alle spalle, riesca a rimanere così poco scalfita dal pensiero critico da riuscire a spostare intere montagne con la propria ignoranza. Sospetto che c’entri il fatto che i libri, più che leggerli, li citiamo).

Orlando in questo caso ascolta, perché per lui una città dovrebbe essere questo, grandi dibattiti sull’arte e sullo spazio pubblico. Quella parte di fare il sindaco e facilitare la vita ai propri cittadini, meh. Orlando ascolta, e fa togliere le immagini.

E qui si scatena il putiferio. Come osa? Sta suggerendo forse che le foto di Battaglia non sono arte? E cosa è arte? E la Lamborghini forse non sta valorizzando il nostro territorio, una sciatta accozzaglia di parole che ormai non significa più nulla? Orlando e tutti i palermitani non stanno forse offendendo Battaglia, che è una che di questa città ha fatto la storia in momenti difficili? Non sarà mica, mio Dio, censura?

Orlando corre ai ripari, manda una lettera in cui essenzialmente dice a Battaglia “Ti stimo sempre ma le immagini le tolgo lo stesso”, e dice ai palermitani “le foto ve le ho tolte ma sono sempre il sindaco culturale, cosmopolita, eccetera”. Battaglia fa delle dichiarazioni confuse, dice che Orlando non si tocca ma è ferita, che potrebbero avercela con lei perché è una donna e ha ottantacinque anni e che non mette in discussione l’operato dell’amministrazione però lei si ritira dal Centro di fotografia affidatole dallo stesso comune parecchi anni fa.

Quella faccenda del vento e della tempesta

Il Battaglia-gate si è sviluppato secondo una dinamica molto comune. Va così:

  • Esternazione da parte di qualcuno: artista, scrittore, giornalista, professore universitario, attore. Magari al di sopra delle righe. Magari un po’ fuori sincrono con i nostri tempi. Di sicuro, in buona fede;
  • Indignazione generale: ma come osa, ma cos’è, ma quanto siamo offesi;
  • Dovete assolutamente toglierci da davanti agli occhi quello scempio! La società ha il compito di farlo! Stiamo lottando per un mondo più giusto!
  • In seguito alle pressioni, il contenuto viene rimosso, e il suo estensore censurato;
  • Proclamazione di vittoria da parte degli offesi, festeggiamenti, “giustizia è fatta”.

Ricorda niente? A me sì: ogni singolo dibattito culturale degli ultimi cinque anni. In cui si è creato un clima, alimentato anche da chi oggi cade dal pero davanti alla censura di Battaglia, in cui se non si è d’accordo con qualcosa, se quel qualcosa non rientra nella visione generale di una società più giusta, ripulita dagli ultimi detriti, allora quel qualcosa può e deve essere tolto di mezzo senza nessun rimorso. Non solo senza rimorso, ma festeggiando l’arrivo di un mondo migliore.

Nel mondo occidentale del 2020, essere offesi è un motivo sufficiente per invocare e ottenere la censura. Ci era stato anche detto che prima o poi il giochetto si sarebbe rivoltato in malo modo: abbiamo passato anni a chiedere la cancellazione di conferenze, il ritiro di libri dagli scaffali, la chiusura di mostre, l’epurazione dagli schermi televisivi e dai social di chiunque non fosse d’accordo con una certa idea di ordine sociale; abbiamo chiesto e ottenuto che la gente perdesse il lavoro a causa delle sue convinzioni, se queste convinzioni non erano perfettamente aderenti al nuovo codice morale – Douglas Murray dice metafisico – della società.

Ora, banalmente, succede quello che volevamo: basta che si faccia un errore, una scelta non dico controcorrente ma leggermente fuori dal seminato, perché si scateni la tormenta. Centinaia di persone che insultano, chiedono la testa di chi parla, pretende la lapidazione in pubblica, virtuale piazza.

I bambini! Nessuno pensa ai bambini!

Di che ci stupiamo? Questo è il mondo in cui una tizia, dopo aver visto The Mandalorian, si lamenta che la scena in cui il bambino mangia uova di rana sia un’offesa per tutte le madri, e la Lucasfilm, invece di rispondergli di non rompere il cazzo, che quella è una rana e soprattutto è finzione, risponde tutta compunta che quelle sono come uova di gallina, non fecondate, dunque non c’è nessun danno.

Conosco già l’obiezione: ma per Letizia Battaglia è diverso! Quella è arte! Battaglia fa parte dei buoni! Chi meglio di lei: ha fatto l’antimafia, è una donna, è un’anziana, è vicina a certe battaglie! Giù le mani da Letizia!

Che bello vivere nel mondo delle favolette, in cui si può dividere il mondo in buoni e cattivi solo sulla base di quello che dicono. Nel mondo reale contano molto di più i comportamenti, e chi si nomina da solo custode della cultura progressista ha cercato, negli ultimi anni, di creare le condizioni in cui è lecito chiedere e ottenere la rimozione di qualsiasi cosa sia ritenuta offensiva.

Qualsiasi cosa, nessuna esclusa: tutte le cancellazioni e le sollevazioni indignate degli ultimi anni sono state mosse proprio dal principio che non importa il contenuto, quello che uno ha detto, fatto, scritto, realizzato, pensato, né conta la sua storia personale o professionale, il contesto in cui si è espresso o l’epoca storica in cui è vissuto. Conta l’indignazione, l’offesa, il sentimento di oltraggio di chi guarda, spesso senza nemmeno sapere bene cosa guarda. Conta occupare prima possibile la posizione della vittima e lamentarsi più a lungo e più rumorosamente possibile.

Dopo avere creato un mondo così, perché aspettarsi che i nostri eroi ne siano in qualche modo al riparo? Molto più importante di cosa si pensa è come si pensa, e adesso si pensa che la censura in nome di un bene superiore sia giusta, che ci siano condizioni in cui è giusto e doveroso togliere il microfono a qualcuno che sta parlando, se quello che dice non ci piace. Tutta questa enfasi sul contenuto ha portato alla nascita di un esercito di automi, che aderiscono a parole d’ordine e le ripetono con tutta l’isteria necessaria a farle sentire, o, peggio, che non credono a quello che dicono ma lo urlano lo stesso, per essere accettati e continuare a scrivere, lavorare o semplicemente essere dalla parte più etica e moralmente intitolata della società.

Le foto di Letizia Battaglia, la sua storia, le sue intenzioni: non contano nulla. Conta l’offesa agli occhi di chi guarda. Il mondo che abbiamo costruito per anni è questo, in cui una fotografa ottuagenaria deve prendersi gli insulti di sconosciuti perché si è stabilito che è giusto così, che qualsiasi passante dotato di una connessione possa sparare giudizi e pretendere attenzione e risposte.

Sta già succedendo da anni. Ben svegliati.

Quella faccenda delle idee altrui

Per quelli che proprio non possono fare a meno di parlare di contenuti, perché pensano che le vette della comunicazione siano nel contenuto e il resto sia fuffa: siete dei poveretti, ma parliamone. Non è complicato: a me le foto di Battaglia, queste della Lamborghini, non piacciono. Mi sembrano qualcosa di già visto, set di moda con sfondo di città siciliana, minorenni innocenti con sfondo del mercato del Capo. Non mi dicono niente e non posso fingere che lo facciano. Pace. Le avessi trovate su una rivista, non mi ci sarei fermato più di qualche secondo.

Ma mi fermo qui. In primo luogo, anche se ho studiato fotografia, mi sono laureato con una tesi su un fotografo e ho fatto il fotografo per anni, non credo di capirne molto. In secondo luogo, le foto di Battaglia non sono così pesanti o esplicite, né per contenuto né per operazione. Anzi, non lo sono proprio, pesanti o esplicite. E staccandoci per un momento dalle immagini – non amo staccarmi dalle foto quando si parla di foto, ma questa volta si deve fare per forza – davvero si può pensare che le foto di bambine di Letizia Battaglia possano essere messe sullo stesso piano di quelle di un qualsiasi fotografo che ammicca al suo pubblico con qualche centimetro di pelle in fuori?

Con buona pace di chi vorrebbe cancellare qualsiasi gerarchia, il mondo dell’arte non è egalitario e per fortuna non lo sarà mai, e dunque a Letizia Battaglia sono concesse cose che ad altri non sono concesse. Se non siete d’accordo, occupatevi d’altro.

Infine, qualche riserva personale sull’opportunità di continuare a ripetere i propri lavori come se non si sapesse andare altrove. La sindrome di Vasco Rossi: rimanere attaccati a una fase particolare della propria produzione e ripeterla a oltranza. Capisco che a ottantacinque anni c’è poco da reinventarsi, ma a questo punto dirò una cosa che con la polemica c’entra poco, ma che andrà presa in analisi, prima o poi, nel dibattito culturale sempre più rachitico della nostra penisola: una volta gli ottantenni facevano i Maestri, gestivano fondazioni e musei a loro nome e facevano crescere i nuovi talenti, a volte incoraggiandoli, a volte entrandoci in conflitto. Rimanevano vivi in questo modo.

Ora, sono sicuro che Battaglia faccia tutte queste cose e che abbia una nutrita rete di contatti con fotografe palermitane promettenti (nel caso, io ne conosco qualcuna davvero brava). Una volta, all’arrivo di un’opportunità come quella di Lamborghini una Maestra avrebbe messo in prima linea la più promettente delle sue allieve, mettendo nome, faccia e garanzia ma lasciando alle nuove leve il compito di portare avanti il testimone. Battaglia invece (ma uso lei come spunto, è un discorso che riguarda tutta la generazione dai 60 anni in poi) si è infilata in questo paradosso: con le sue immagini celebra la giovinezza, ma solo fino a che resta un’immaginuzza su cui il vero controllo lo esercita lei, una donna che ha avuto la sua storia gloriosa, ma che non riesce nemmeno per un attimo a pensare di abbandonare il centro della scena.

Ultimo paio di considerazioni:

  • È plausibile che, senza tutto questo marasma, ci saremmo accorti molto meno della campagna Lamborghini. Bravi tutti, un caso da manuale di effetto Streisand: quelle immagini sono dappertutto, se il risultato che si voleva ottenere era di non farle vedere agli occhi innocenti la missione è miseramente fallita;
  • C’è chi ha detto che le immagini di Letizia Battaglia sono sessiste. Il che, se non altro, dimostra come ormai l’accusa di sessismo sia diventata un passepartout. Se si vuole mettere qualcuno sulla difensiva, infamarlo, fare saltare ogni comunicazione e prendersi la superiorità morale, il modo più semplice e efficace, oggi, è mettere sul piatto l’accusa di sessismo. Questo è l’ultimo passo prima che l’accusa di sessismo diventi ridicola e priva di senso anche quando è giusta e sacrosanta. Bravi tutti, ancora una volta.
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